Poniamo il caso che voi siate dei cardinali australiani in Vaticano e che, per ingannare il tempo che lo psicologo Moretti sta cercando di dedicare, anche se non più ufficialmente, alla comprensione di cosa abbia mai potuto bloccare il vostro neoeletto Santo Padre proprio nel preciso istante della sua presentazione ai fedeli, la decisione di quest’ultimo sia quella di costituire un torneo di pallavolo e non palla prigioniera (sport che “non esiste più da cinquant’anni”) come da vostra richiesta. Poniamo il caso che, voi, sempre cardinali australiani in Vaticano, siate solo tre di numero, insufficienti, quindi, a formare una squadra intera. Ve ne lamenterete, giustamente. Ma quando la risposta arriva, diretta, fulminea e irrevocabile, non potrete fare altro che prenderne atto: dovrete “comportarvi bene” con i vostri fedeli per poter sperare che qualche vostro conterraneo si avvicini a Dio e venga, così, a rinforzare la vostra debole e fragile squadra. Peggio per voi se non afferrerete il concetto con le dovute analisi interiori. Anzi, peggio per il mondo intero, costretto a fare di nuovo i conti con (ben più di) qualcosa perennemente fermo in tempi ormai indecifrabili. E peggio per il vostro stesso appartenere al genere umano se non comprenderete che il vostro stesso vicario in Terra, con le sue fughe meditative, invoca l’immediato e salvifico “cambiamento“. Vi lascerà lì, a bocca aperta e cuore serrato, perché non saprete coglierne, invece, la supplica da puro spirito innovativo. Cosa cogliere? E come? Queste saranno, ad andare bene, le vostre uniche domande.
Domande alle quali, forse, l’unica risposta scientifica e metodica (fuori dai ripetitivi discorsi da comuni mortali miscredenti, dunque) sembra averla data, finalmente e in maniera decisamente solenne quanto cordialmente distaccata, il professor Bruno Ballardini in questo suo nuovo Gesù e i saldi di fine stagione.Perché la Chiesa non “vende” più (edizioni Piemme). Veneziano di nascita ma romano di adozione, Ballardini è da sempre considerato, su scala nazionale, come uno dei maggiori pubblicitari esperti di marketing (“copywriter”) viventi. Laureato in filosofia del linguaggio con Tullio De Mauro ed esperto di comunicazione strategica e di nuovi media, è anche docente di Scrittura Giornalistica presso la facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università La Sapienza di Roma. Detiene inoltre un blog sul sito del Fatto quotidianoe la sua penna è spesso all’opera su Il sole 24 ore e Linus.
Basta questo per poter prestare “fede” ciecamente al fatto che quella che viene saggiamente definita, in effetti, come “l’ultima battaglia che la più grande multinazionale del mondo, la Chiesa cattolica, dovrà presto affrontare”, altro non è che una vera e propria crisi economico-sociale dell’ “azienda” evangelica, identificata da Ballardini stesso, nel precedente ed importante Gesù lava più bianco, come il principale artefice della nascita del marketing. Una crisi che ha come fulcro miliardi di fedeli (i “clienti“) che nella comunità ecclesiastica non trovano più alcun appiglio di risposta ai reali problemi dell’attualità. Una crisi, sostanzialmente, di contenuti, dal momento che le più alte gerarchie non sanno (o non vogliono!) reinterpretare i loro principi secolari alla luce dell’effettiva realtà attuale. Ne scaturisce una irrevocabile perdita di credibilità e di potenza anche economica sul territorio mondiale, con relative crisi di vocazione, scismi tra gli svariati settarismi derivanti, abdicazioni interpersonali, azioni definibili come punibili in termini di legge e sempre maggiori autonomie interne non utili se non alla costruzione di eccessive linee di marketing leggermente diverse ma sempre e comunque riferite allo stesso pilastro di riferimento globale.
Gli elementi di un’analisi raramente così attenta e rigorosa in un simile ambito, vengono chiamati in causa ed esaminati con estrema precisione. Come non citare, allora, Hans Kung nel ricordare che una religione può anche (ed ha il diritto) di morire? Proprio come un’azienda rischia di fallire ed è costretta a prendere le relative precauzioni di strategia commerciale, dunque, anche la Chiesa cattolica, detentrice dello scettro del marketing (“compro perché mi serve, scelgo perché mi piace”, anche se non si parla di soldi ma di spirito o, meglio, di “capitale umano“), è praticamente obbligata a far fronte ad un’arretratezza che non può più far finta di giustificare. Attraverso studi realmente incaricati ed effettuati in ambito vaticanista, allora, Ballardini rende pubblica con estrema sincerità la maggior parte dei risultati ottenuti da notti insonni passate tra studio e riflessioni personali, scegliendo di condire il tutto, si, in veste di saggio ma anche e soprattutto sviluppando un lato narrativo assolutamente gradevole e quanto mai necessario al fine di un approccio delicato e fragile proprio come non può non esserlo l’argomento affrontato.
Come far fronte a nuove teorie di culto e nuove concatenazioni spirituali ben più adatte ad un’interpretazione sostanzialmente di rapporto terreno con la realtà circostante? Come contrastare, in poche parole, la “concorrenza“? La soluzione sta esattamente nelle reali operazioni di recupero strategico di una qualunque multinazionale, elementi che Ballardini introduce, accenna, elenca, giustifica ed inserisce, fornendone un’interpretazione minuziosamente dettagliata, nel contesto reale di un’istituzione materiale prima ancora che (non si sa, davvero, fino a che punto) spirituale.
L’attenzione principale (in molti dicono “Si, va bene, lo sappiamo già” ma nessuno, fino ad ora, probabilmente, ne ha mai parlato realmente con carte alla mano e in pubblica piazza, men che meno coi diretti interessati) è rivolta alle nuove generazioni, preoccupazione principale in quanto sempre più distaccate e difficili da coinvolgere in una dottrina vecchia ed ammuffita perché non più disposte a “credere senza vedere”, ad ascoltare parole senza verificabilità. Con l’obiettivo di trovare, dunque, un giusto linguaggio col quale comunicare e condividere interessi o (perché no) attività, Ballardini azzarla l’ipotesi (con relative prove) di una “ridiscussione del prodotto” in termini moderni per tramite sia di rivalutazioni, per così dire, filosofiche (“Per competere occorre una strategia che oltre alla novità della rivelazione consenta di essere liberi di scegliere”), sia, soprattutto, tanto tecnico-pratiche (“Può la Chiesa, così arcaica, essere interprete ancora di vecchi dogmi fuori dal tempo in un mondo completamente trasformato dalle tecnologie?”) da portare l’evangelizzazione inevitabilmente sul piano del confronto di abitudini primordiali con nuove modalità di approccio alla realtà più oggettiva. Quale etica, allora, innalzare a portamento morale ufficiale? Cosa resta o diventa moralmente lecito?
Attraverso una sorta di vero e proprio diario di uno studioso ateo ma concretamente volenteroso nella possibilità di offrire un valido contributo, in sostanza, quello che traspare fra le righe redatte da Ballardini è, però, anche una sorta di riflessione che il lettore stesso può maturare nel suo essere automaticamente portato a ripensare la propria intera vita in luce di una specie di “senno di poi” che le pagine innescano nello scatto del pensiero verso gli insegnamenti adolescenziali, i continui dilemmi esistenziali relativi alla presenza o meno di “altro” dopo il “qui” e l’ “ora”, le fatiche “burocratiche” legate al desiderio tanto di unirsi in amore quanto di lasciare il pianeta a fine ciclo. Tutto appare, inizialmente, come un proverbiale inganno, tutto si dischiude come un inesorabile e pietrificante terrore del nulla assoluto alla chiusura di palpebre fino ad ora curiose e, magari, desiderose di un qualunque proseguimento. Ma, al contempo, l’audace Ballardini, grande uomo prima ancora che eccellente docente, (forse) inconsapevolmente aumenta a dismisura la necessità incombente di vivere una vita densa di avvenimenti memorabili, tanto nello splendore quanto nel grigiore della modernità dominante. Quello che quest’uomo riesce a trasmettere, paradossalmente, è proprio la necessità di commettere naturali errori con il più totale diritto del sorriso sulle labbra.
Siamo di fronte ad un testo che, senza nulla togliere ad alcuni di quelli già in vigore, non starebbe poi così male in determinati programmi di studio di facoltà umanistiche e non solo. Prendiamone alcuni aspetti e discutiamone con il diretto interessato.
D: Professore, quando si dice le coincidenze…è incredibile come il film di Moretti finisca proprio dove comincia il suo libro. Dica la verità: ha fatto da consulente occulto non accreditato…
R: Quando una cosa è nell’aria, prima o poi diverse persone finiscono per occuparsene. In questo momento la crisi in cui versa la Chiesa è ormai evidente a tutti (meno che alle gerarchie) ed è per questo che stanno uscendo diversi libri sul tema. Poi il film di Moretti in realtà non affronta questo argomento ma parla del senso di inadeguatezza che i ruoli imposti dalla vita spesso ci causano. E indica “terapeuticamente” anche il rimedio: essere semplicemente se stessi, seguire la propria natura.
D: Nel suo fortunato precedente (direi quasi “prequel”) “Gesù lava più bianco”, lei sosteneva che il marketing sia stato inventato dalla Chiesa. Qui, di fronte ai problemi in cui si dibatte, propone una soluzione tecnica molto più che necessaria ma, forse, poco fattibile visto il carattere globale dei tasselli umani che compongono l’ “azienda”. Il rinnovamento che lei invoca è davvero proponibile? La chiesa può contare ancora realmente, rinnovandole, sulle basi che hanno caratterizzato la sua potenza mondiale da duemila anni a questa parte?
R: Ovviamente si tratta di una dimostrazione per assurdo. La provocazione consiste nell’indicare tutti i passi che la Chiesa dovrebbe compiere per uscire dalla crisi e, probabilmente, scongiurare il suo definitivo tramonto, ovvero i “saldi di fine stagione”. Ma sono soluzioni talmente radicali e “progressiste” che è praticamente impossibile che la Chiesa le adotti. E dunque ne consegue che è destinata ad un lento declino. Nonostante i suoi duemila anni di storia, proprio per l’accelerazione che il mondo moderno sta prendendo soprattutto sul piano tecnologico, la Chiesa cattolica (e in generale la religione) sta diventando sempre più irreparabilmente e definitivamente anacronistica e obsoleta.
D: A volte vien da pensare che, ad esempio, per distruggere la tragica situazione del precariato nazionale, basterebbe che tutti i precari, dalla sera alla mattina, non andassero più a lavorare. Probabilmente, così, molte aziende potrebbero rischiare un crollo, visto il quantitativo di precari impiegati. Succederebbe la stessa cosa se, dalla sera alla mattina, miliardi di persone smettessero improvvisamente di credere in un dio?
R: Credo che sia impossibile in entrambi i casi. Esiste un’esigenza vitale di lavorare per poter sopravvivere. Ed esiste anche una domanda di sacro che non accenna ad estinguersi, ed è altrettanto vitale. Tutto sta a capire quale sia il rapporto costo/beneficio più ragionevole. In fin dei conti, si tratta sempre di uno scambio: nel lavoro c’è una remunerazione in cambio di una prestazione, nella religione ci sono una serie di benefici che soddisfano il “consumatore” di sacro e in cambio la “marca” ottiene la sua fedeltà. I sociologi della religione ammettono oggi che questo particolare tipo di consumatore, quando non è più soddisfatto, si guardi intorno e compia quella che viene definita una “rational choice” cioè una scelta razionale, valutando il rapporto costi/benefici esattamente come si farebbe con qualsiasi altro bene di largo consumo. E non sempre il cattolicesimo esce vincente dal confronto…
D: Lei parla della necessità assoluta di un Concilio Vaticano III. Anzi (per restare in tema di rinnovamento): “3.0”. Ma è davvero possibile riunire sotto lo stesso tetto un numero così elevato di cellule dottrinali senza che si scannino “in nome di Dio” (chissà quale Dio, poi…)?
R: Non ne parlo solo io. Prima di me viene il Cardinale Martini che recentemente ha detto “Un concilio? Qui ce ne vorrebbe uno al mese di concilii…” per dire quanto la Chiesa stia in difficoltà. E mi sembra una risposta doverosa ad un Ratzinger che nel suo penultimo libro “Luce del mondo” ha appena affermato che non occorre nessunissimo concilio… Nel mio libro sostengo che la Chiesa di Roma con la sua crisi di credibilità rischia di trascinare nel baratro tutto il cristianesimo. Per questo occorre che facciano un passo indietro e si rimettano in discussione unificando veramente tutto il cristianesimo e possibilmente smontando l’apparato dogmatico per riportare il prodotto alle origini. Ma è impossibile: il cristianesimo di San Francesco è quanto di più lontano ci sia dalla teologia di Ratzinger. Per ritrovare delle ragioni di esistere, dovrebbero tornare ai valori originari, ad ascoltare la gente, adattare la dottrina alle istanze della vita di oggi, ecc. Per fare questo occorre prendere delle decisioni “pesanti”, quindi occorre un concilio. E questo concilio deve essere aperto a tutti, non un luogo sigillato dove solo le gerarchie parlano e fanno i loro giochi. Con i mezzi di comunicazione che di cui disponiamo oggi sarebbe possibile e per questo potrebbe essere chiamato 3.0…
D: Incursioni di evangelizzazione su Second Life, gruppi su Facebook dedicati a Dio, a Gesù, la Madonna o a chi per loro, comunità virtuali, confessioni in rete e quanto altro. L’utilizzo del “metaverso” virtuale è una scelta comunicativa giusta o rischia di essere solo una ridicola minimizzazione di qualcosa di più alto, di più importante ed imponente?
R: Second Life ormai è morta, o perlomeno non cresce più e non costituisce una piattaforma comunicazionale di cui tener conto. Da quando esiste non ci sono state innovazioni al suo interno in termini di software né in termini di grafica e di usabilità. La Chiesa è entrata in Second Life come in Facebook sempre e soltanto perché sa che non può non esserci anche lei. Semplicemente si adegua al quadro corrente. Non è niente di speciale nemmeno quando un prete sviluppa un’app per iPad e iPhone con dentro tutto il messale: i media possono cambiare ma quello che non cambia è il “prodotto” che è sempre lo stesso.
D: Un futuro senza religioni più o meno dogmatiche (qualunque esse siano) e votato alla centralità dell’espressione dell’individuo come nucleo portante dell’evoluzione di un intero pianeta: fattibile, una bestemmia o impossibile per paura di esser soli in un nulla sia prima che dopo la morte?
R: Io mi sono limitato a contrapporre due diametralmente opposti di intendere il consumo del sacro. Da una parte le religioni di massa, che offrono un prodotto industriale uguale per tutti (quindi mediocre), a bassa performance e scarso di valori, e cercando di imporlo dall’alto. Dall’altra il misticismo, cioè il “consumo sostenibile” di valori originari, individuale, consapevole, libero e soprattutto scelto dal basso. Io sono per il libero pensiero, e la libertà delle scelte individuali. Questa libertà è in conflitto con le religioni, ma non con il misticismo che è cosa ben diversa. Il modello invasivo delle religioni va combattuto e va difesa contemporaneamente la libertà di credere intimamente in ciò che si vuole. La propria eventuale ricerca spirituale è un fatto personale che non può e non deve essere condiviso con altri e nemmeno può essere oggetto di rituali di massa. Quando le religioni si saranno estinte e/o saranno state sostituite da questo modo di intendere il rapporto col sacro, l’umanità avrà fatto un gran passo avanti.