A Luglio mi sono laureato. E sì, eh, certe cose succedono
anche a me, mica sempre e solo ai soliti “sparamambitto” che fanno otto esami a
sessione e si laureano un anno e mezzo prima senza averci capito un benemerito
cazzo. 109 su 110, se lo vuoi sapere. Arti e Scienze dello Spettacolo. La
Sapienza di Roma. Cinema. Sì, rosico un po’ ma alla discussione mi hanno dato
il massimo e parevano interessati. Forse. Cinema e Apocalisse, l’argomento.
Bello e intenso, il processo di elaborazione e produzione della tesi, sì.
Bravissimo il mio relatore. Una chiavica l’università in sé, che spero fallisca
e crolli al più presto.
Dicevo, a luglio mi sono laureato e, a cominciare dalla fine
del mese fino a questo preciso istante inoltrato, mi sono messo (e continuo) a
cercare lavoro. Tecnicamente sarei giornalista pubblicista con tanto di
tesserino e iscrizione all’Ordine (va bene, fattela pure tu sta cazzo di
risata…ecco…contento? Bravo coglione), quindi, sai com’è, si cerca un po’ nel
proprio settore prima di andare a bussare ai call center (e fatti pure st’altra
risata…imbecille). E allora (sempre e comunque dopo aver girato praticamente
tutte le redazioni maggiori, tra Roma e Milano, per rilascio curriculum e
documenti vari: alcuni gentilissimi, altri da fucilare all’istante), giù con risposte
ad annunci italiani di vario stampo provenienti dall’oceano putrefatto della
rete. Un paio di volte mi è capitato di vedere qualcosa dalla Svizzera. Oltre
ad aver caricato a ufo il curriculum sul sito della Rts (così, tanto per),
avevo risposto a non mi ricordo nemmeno più io quale annuncio, consapevole di
non avere almeno uno o due requisiti richiesti ma vabeh, intanto ci si prova.
Sarà stato poco dopo ferragosto, se non ricordo male. Fatto sta che oggi,
signore e signori, da questi svizzeri qua mi arriva questa splendida mail di
risposta (non scherzo e non sono ironico, è veramente splendida):
Gentile signora,
egregio signor [vabeh, concediglielo pure un copia/incolla per fare prima
dimenticando di cancellare il sesso non corrispondente, fa niente],
la ringrazio sentitamente per la sua candidatura e per l’interesse dimostrato verso l'attività svolta dal [nome società che non è corretto fare in pubblico].
Tra le 350 candidature ricevute in risposta al nostro annuncio abbiamo scelto 5 candidati da invitare ad un colloquio. Purtroppo la sua candidatura non soddisfa pienamente uno dei requisiti da noi richiesti (ottima padronanza della lingua tedesca, esperienza nella produzione di film e video [che non è vero, in passato ne ho fatti un po' ma vabeh, stiamo mica qui a contare i peli dell’orifizio anale dell’orso Yoghi], comprovata esperienza giornalistica con una buona rete di contatti nella Svizzera italiana).
La sua eventuale delusione è senz’altro comprensibile, soprattutto in ragione del fatto che non le viene data nemmeno l’opportunità di un colloquio. Anche se la nostra politica, in genere, si discosta da quella di altre imprese, ci accomuna sfortunatamente l’oggettiva difficoltà, per mancanza di tempo, di invitare tutte le candidate e tutti i candidati a un colloquio personale. La sua esclusione a tale fase non intende essere un giudizio di valore sulla sua qualifica. La preghiamo di comprendere che spesso sono solo piccole sfumature a fare la differenza.
Non esiti a ripresentarci la sua candidatura qualora veda pubblicata sulla nostra homepage [sito] un’altra posizione di suo interesse.
Cordiali saluti
la ringrazio sentitamente per la sua candidatura e per l’interesse dimostrato verso l'attività svolta dal [nome società che non è corretto fare in pubblico].
Tra le 350 candidature ricevute in risposta al nostro annuncio abbiamo scelto 5 candidati da invitare ad un colloquio. Purtroppo la sua candidatura non soddisfa pienamente uno dei requisiti da noi richiesti (ottima padronanza della lingua tedesca, esperienza nella produzione di film e video [che non è vero, in passato ne ho fatti un po' ma vabeh, stiamo mica qui a contare i peli dell’orifizio anale dell’orso Yoghi], comprovata esperienza giornalistica con una buona rete di contatti nella Svizzera italiana).
La sua eventuale delusione è senz’altro comprensibile, soprattutto in ragione del fatto che non le viene data nemmeno l’opportunità di un colloquio. Anche se la nostra politica, in genere, si discosta da quella di altre imprese, ci accomuna sfortunatamente l’oggettiva difficoltà, per mancanza di tempo, di invitare tutte le candidate e tutti i candidati a un colloquio personale. La sua esclusione a tale fase non intende essere un giudizio di valore sulla sua qualifica. La preghiamo di comprendere che spesso sono solo piccole sfumature a fare la differenza.
Non esiti a ripresentarci la sua candidatura qualora veda pubblicata sulla nostra homepage [sito] un’altra posizione di suo interesse.
Cordiali saluti
[Nome del tizio che ha scritto. Nome sostanzialmente
tedesco. Che mi scrive in questo italiano così corretto].
Ecco…
…mi viene da pensare di primo getto: svizzeri, quindi
persone serie anche (se non soprattutto) nel mio settore (mentre tutti noi
stronzi, qui, stiamo ancora a spalare la merda con la storia trita coglioni dell’internet-non-internet-manellacartastampataèdiverso-ilgiornalismoèmortoepureigiornalistisonomorti-cisonosoloblogschifosienongiornali), encomiabili anche quando ti rifiutano perché ci tengono a specificare che non
sei tu ad essere una merda inutile, sono loro che cercano altro e ti
incoraggiano a tenere comunque vivo un mezzo contatto. Poi rileggo la mail una
seconda volta e mi viene soltanto da riflettere sul
fatto che mi ritrovi stupito di una risposta così cordiale, gentile e
comprensiva, cosa che, in fin dei conti, dovrebbe essere la normalità più
assoluta qui attorno a me e che, a quanto pare, in questo cesso di posto dove
stiamo noi, non è mai stata proprio una specie di usanza, perché se no pare
brutto.
E allora mi tornano alla mente
tutti gli incontri e le risposte del cazzo più recenti avuti (i primi) di
persona (pochissimi, la verità) e (le seconde) sulla mia fottuta mail bypassata
da siti di pubblicità, truffe a nome di Poste Italiane (che, ovviamente, di
Poste Italiane non sono), annunci porno e richieste di aiuto economico
farlocche con nomi supercazzola e in linguaggi prossimi a un Google Translate
affetto da Encefalopatia Spongiforme Cibernetica. Avessero mai avuto almeno un
briciolo di una simile predisposizione, tutte quelle merde con cui sto
avendo a che fare nella ricerca di un semplice lavoro ormai diventato un
fottuto hobby del cazzo nell’unico neurone di alcuni (parenti e qualche amico,
in particolare. “Ah…ok…e che lavoro fai?”. Faccio rapine in banca con tua nonna
che mi paga a colpo di pistola esploso, stronzo). Me
ne sovviene qualcuno in particolare.
Ho anche esperienze radiofoniche,
sia come autore che come speaker e producer, quindi noto in rete un annuncio di
due righe, due di numero, che pare faccia capo a una radio fm di Roma. Niente
nomi né indirizzi mail ai quali poter mandare un curriculum. Solo un numero di
telefono cellulare. Vabeh. Finito di guardare e rispondere agli altri tre o
quattro annunci che ho aperto in apposite finestre sullo schermo, prendo il
telefono, compongo il numero e parte la chiamata.
“Prooontooo…” (con inflessione a
mo’ di scimmione della pubblicità del Crodino. Hai presente?).
“Ehm…sì, buonasera. Ho visto
proprio adesso il vostro annuncio e volevo sapere, un po’ più nel dettaglio, di
cosa si tratta, in cosa consiste il lavoro.”
“Eh. Embè? Perché? Nun sai legge?
Che ssei cecato?” (stessa e identica inflessione che manterrà per tutta la
conversazione, con picchi di aumento fonico alla Pasquale Casillo).
“…sssssì…beh, c’è scritto speaker
o dj.”
“Eh.”
“Sì, beh, io sono giornalista
pubblicista, critico musicale e cinematografico, laureato, iscritto
all’albo…[eccetera eccetera eccetera]. Avendo anche esperienze radiofoniche sia
come autore e producer che come speaker radiofonico, nonché approfondite
conoscenze musicali senza limiti di genere, volevo sapere se c’era possibilità
di collaborazione, stage o qualunque altra cosa anche solo a livello
giornalistico presso la vostra redazione, ecco.”
“Co’ cche rradio ‘a lavurato,
te?”
“Ho lavorato e lavoro ancora per
una webradio [nome] fondata da me prodotta dal giornale per il quale collaboro
da 5 anni. Prima ancora la nostra direttrice conduceva una trasmissione presso
una radio italiana di New York [nome] che ha anche ritrasmesso la prima
stagione della trasmissione che invece ho fatto io. Abbiamo una specie di
partnership e collaboriamo spesso per…”
“Nun ‘a conosco.”
“Vabeh, è legittimo”
“E comunque ‘e uebberadio nun so rradio.”
“Come, scusi?”
“Nun conta gnente, nun ‘e na
radio.”
“Guardi che tutte le
ritrasmissioni ad opera della radio italiana newyorkese erano anche in Fm.
Negli Usa, per giunta.”
“Nun significa gnente, nun è na
radio”
“Vabeh. Senta, scusi, non mi
vuole dare nemmeno un indirizzo postale o mail al quale poter mandare un
curriculum in modo da poter…”
“Ma nno, perché nun è na radio, nun è n’esperienza, ‘e uebberadio
nun so rradio [e attacca una filippica di almeno tre o quattro minuti sul senso
del concetto di radio per un coglione, che io ascolto col sangue agli occhi
solo per lasciarlo finire perché poi quella merda dice] “Comunque, sì pproprio
ce tieni, poi pure venì qua, te mettemo a sede ar tavolino e vvedemo che ssai
fa.”
Al che rispondo:
“No. Non mi meritate.”
E gli attacco il telefono in
faccia. Perché in questa fase della mia vita sto mandando a fare in culo
veramente tante persone senza pensarci mezza volta in più. Una terapia che
consiglio vivamente a tutti voi quando necessario, vale a dire in casi come
questo.
Altra esperienza interessante.
Rispondo a un annuncio online che
ancora oggi circola con pressante insistenza su qualunque sito di ricerca
lavoro. Si tratta di un sito internet che pare faccia sia un pizzico di
giornalismo che, in maniera più corposa, web tv. Dopo un po’ mi ricontattano
per invitarmi a un colloquio conoscitivo, sempre qui a Roma. Dico grazie e il
giorno dell’appuntamento mi presento in tranquillità ma consapevole della
facile eventualità di non ricavarne niente di buono, quindi self control ben
collaudato.
Entro in questo bel portone di un
certo punto di viale Marconi e la portiera, gentilissima, mi indica la porta
della società. Busso, entro, saluto, ricambiano e mi mettono a sedere su un
piccolo divanetto per attendere che il capoccia finisca un altro colloquio
fissato prima del mio. Mi trovo in un vero e proprio appartamentino, comodo,
confortevole, con due persone vicino a me (una giovanissima segretaria e un
ragazzo forse mio coetaneo che si occupa dell’area giornalistica da direttore,
dice. O caporedattore, non ricordo bene). Il capoccia generale, nel suo studio
alle mie spalle, finisce il colloquio con una ragazza che se ne esce
sorridente. Entro io, saluto, mi accomodo. Mi accomodo, sì, ma ad una scrivania
alquanto distante a una seconda dietro la quale sta seduto lui. Mi annuso
distrattamente le ascelle per vedere se il motivo per cui mi tiene distante è
perché potrei puzzare ma vabeh.
Mi comincia a parlare forte del
suo baffone e di una maggiore tranquillità conferitagli dal fatto che siamo
quasi conterranei. Mi comincia a parlare forte del suo baffone ma partendo da
un discorso di massima legato all’impossibilità di portare avanti carriere
giornalistiche al giorno d’oggi, della necessità di mettersi in rete ma del
contrattacco lanciato dall’impossibilità di pagare i collaboratori pur
necessitando della loro fervida collaborazione “acca ventiquattro” per crescere
e sperare in remunerazioni che mettano qualcosa in tasca a tutti. Allora lo
fermo e chiedo se, quindi, non è prevista alcuna retribuzione. Il buon uomo
riparte con altre supercazzole sulla crisi di sto cazzo e bla bla bla.
Mentre quello parla e io manco lo
ascolto più, mi guardo un po’ intorno con la coda dell’occhio: ho di fronte una
sorta di sosia del “cumenda” Guido Nicheli, solo in versione napoletana; mi
trovo in una redazione fisica, ancora semi vuota ma fisica, arredata anche
bene, per la quale questo qui paga un certo affitto (lo ha detto lui). Quindi
qualche soldo circola sicuramente. Sono tre mesi che vedo questo annuncio
imperare sulle bacheche dei siti di ricerca lavoro, quindi staranno ancora lì,
avranno pur trovato qualche fesso di turno che deve solo fare esperienza. E se
stanno ancora lì, ma non pagano, verseranno comunque certi soldoni (che quindi
hanno, o lui personalmente ha) per mantenere l’affitto dell’appartamento
adibito a redazione (che piccolo piccolo proprio non era) e pagare le
rispettive bollette (per non parlare poi della manutenzione dell’attrezzatura
buona che hanno ma che chiedono a te di avere per conto tuo). E a Roma sai bene
che gli affitti sono qualcosa di improponibile per una miriade di comuni
mortali.
Per farla breve, quando questo
finisce di sparare supercazzole io comincio a dire cose del tipo “ma allora, se
è crisi, perché buttarsi a elemosinare compassione e lavoro gratuito? Non è
meglio trovarsi un lavoro qualunque per conto proprio senza farla campare di
rendita, sta crisi?”, oppure “ma lei lo sa che (certo non è il massimo) ma è
anche possibile mantenere una mezza redazione anche senza un appartamento in
affitto? Quindi se può pagare un affitto con relative bollette e condominio,
perché non può pagare due soldi a chi accetta di lavorare con lei?” (l’uomo
dice che almeno qualche ritenuta d’acconto per il tesserino si sarebbe spremuto
per pagarla). O ancora “se proprio non si può o non si vuole pagare chi lavora
per te, allora perché non cominciare a fare la tanto sospirata ‘crescita’ da
soli in quattro o cinque per conto proprio per poi raggiungere un certo status
di entrate sponsor e Adsense e offrire, solo dopo tutto questo, uno sputo di
lavoro con qualche spicciolo a disposizione? Noi con il nostro giornale, ad esempio…”.
Non l’avessi mai detto. Non avessi mai accennato a come tiriamo avanti (con
pochissimi soldi, praticamente niente, ma almeno dignitosamente) noi al
giornale online dove sto io. Morale della favola, il colloquio è finito con lui
che elemosinava a me una partnership col mio giornale. Patetico.
Per finire, quanto alle risposte
mail di annunci nei quali non si parla di retribuzione manco se viene la
missione, c’è una certa forma standard (che molti di voi conoscono anche bene)
che ti arriva nella casella di posta quando il cosiddetto datore di lavoro
(parolone, sia “datore” che “lavoro”) si degna di risponderti, cioè solo nel
caso in cui, consapevole di non volerti dare un cazzo (potrebbe anche, qualche
spicciolo, ma preferisce molto spesso non volere e papparsi lui la poca
brodaglia che riceve), gli serve come il pane azzimo qualcuno che si faccia il
culo per far crescere lui e il suo sito schifoso. Fa pressappoco così:
“Gentile Stefano [o chiuque
altro],
la ringraziamo per la sua
candidatura e saremmo lieti qualora lei volesse collaborare con [nome sito].
Quanto alla sua richiesta di retribuzione, sa bene che le attuali premesse
storiche non ci consentono di offrirle una regolare retribuzione ma ci
permettono, altresì, di optare per la formula attuale più risolutiva, vale a
dire quella del giornalismo partecipativo…” e continua con una sfilza di altre
intramontabili supercazzole utili a proporre, in linea di massima, a colui che
dovrebbe semplicemente scrivere, studiare, valutare, approfondire (o quanto
altro di simile), di diventare una sorta di fottuto pr facendo stalking in giro
per la rete a sputtanare i suoi articoli di merda per fare migliaia di viscidi clic
da sprucido social network che finiranno per valere si e no un paio di euro (ad
andare bene) dopo varie ore di sottomissione da schermo elettronico grazie a
una moltitudine di banner pubblicitari che lui stesso dovrà gestire. E si
pavoneggiano anche di una certa meritocrazia (nominano proprio questo termine) che
solo loro vedono nella cosa.
Morale della favola: sarò
drastico, disinformato o quel cazzo che volete, ma per quanto mi riguarda la nostra
vera crisi è quella interiore. Il problema sono e resteranno sempre quelle
persone che invece di risolvere il problema ne creano consapevolmente e
deliberatamente altri (perché tanto basta solo un’iscrizione a un tribunale per
essere “in regola”), talvolta più grandi ancora, e si crogiolano sulle
inadempienze psichiche altrui, vale a dire quelle di chi accetta un simile
scempio pur di sperare in qualcosa finendo per essere spesso anche
sopravvalutato quando i suoi temini di terza elementare vengono fatti passare
per articoli pur di buttare qualcosa sul sito, con la paura fottuta (esattamente
come a scuola o all’università) di inimicarsi chissà chi mandandolo
semplicemente a fare in culo. Il tutto coadiuvato da un mezzo fenomenale
(internet) usato per il 75% nella maniera più schiavista e retrograda possibile
(sia come non-lavoro che come “contenuti”). Basta oltrepassare un qualunque
confine fisico per vedere che le cose, nel resto di una buona fetta di mondo,
non stanno così e tutto è ben più possibile, legittimo e rispettoso delle
circostanze? Sì e no, perché anche in questo posto maledetto ci sono moltissime
persone di esimio calibro educativo che devono essere necessariamente preservate,
costi quel che costi.
Ad ogni modo spero che tutto il
peggio espresso fin qui (ma anche tanto altro) finisca. E nel peggiore dei
modi, se necessario. La colpa, tutto sommato, sarebbe solo di qualche centinaio
di vaffanculi finalmente espressi.
masecondomehaitroppeaspettativeioperesempiodesiderolavorareinuncallcenterenonarrivareafinemeseequalcosamidicechesaròaccontentato. hoscrittotuttoattaccatocosìtirendicontodiquantocacailcazzoleggerequestefantomaticheparolesenzarespirochesembranocosìnuovafrontieraespressiva. unultimacosa:lasintesicazzo!nonèchepossostaremezz'oraperleggerti,devotrovarelavoroancheio!
RispondiElimina1. Il tuo nome?
RispondiElimina2. Perdona, non pensavo potesse essere così importante valutare la costituzione longilinea del mio testo al posto di quello che cerca di dire cercando una gradita risposta di confronto. Se saltuariamente scrivo qui e non sul giornale per cui mi occupo ci sarà ancxhe un certo motivo di assenza di limitazioni...o no?
3. Chepoisarebbeinfattiancheilmioblogpersonalequindidiciamochescrivounpoquellochevoglioquantovoglioecomevoglioecco.
Grazie per la lettura.
Saluti
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina(Ho eliminato il precedente commento solo perché avevo sbagliato ad inserire il testo, scusate. Era questo)
RispondiEliminaMi arriva una richiesta di amicizia su Facebook e un rispettivo messaggio privato:
"Ciao Stefano! Grazie dell'amicizia, ho letto il tuo blog e ho visto quanto te la prendi con chi non paga i giornalisti. Ti capisco e penso davvero tu abbia ragione, ho fatto la gavetta prendendo 100€ per un'estate in un giornale (avevo 17 anni ed era il 2009), poi lo stesso mi ha dato in mano 2 giornali senza darmi un quattrino per qualcosa come 6 mesi abbondanti. Quando la concorrenza mi ha proposto 5/10€ ad articolo mi sentivo miliardario e pensa che mi pagavano anche le ore in redazione!! Poi ho fatto il grande salto... Ho deciso di prendere in gestione un quotidiano personalmente (a 20 anni) e di diventarne il direttore editoriale... Di bello c'era solo il nome... All'inizio le cose andavano bene, ma poi la commerciale che mi aiutava ha allentato la presa fino ad andarsene e così, oggi, siamo in 3 che prendiamo i soldi solo quando ci sono (quindi raramente). In tutto questo io non ho mai guadagnato nulla, facendo un rapido calcolo ci ho rimesso qualcosa come 8-9mila € in 3 anni scarsi, volevo abbandonare ma le ragazze che lavorano con me (praticamente gratis) mi hanno chiesto di rimanere ed andare avanti. Non è che se non pagano i direttori sono brutti e cattivi, purtroppo mi dispiace non poter pagare chi lavora con me, ma sono il primo a non prendere un centesimo, a non poter pagare un grande ufficio nè altro. Per fortuna ho un secondo lavoro che mi permette di vivere e, ti dirò, rimpiagno i tempi in cui ero l'ultima ruota del carro. Un abbraccio, [nome]
Rispondo:
Ciao [nome] e grazie per la lettura e il riscontro personale. Col pezzo che ho appena pubblicato (II parte) mi chiedo semplicemente perché far nascere testate online quando ormai si sa che non ci si campa. Grazie ancora e in bocca al lupo per tutto.
Lui:
Purtroppo quando ho iniziato avevo tanto entusiasmo che - da un anno a questa parte - si è smorzato. Continuiamo a provarci, i nostri numeri sono molto buoni per la zona (parliamo di editoria locale) il problema è che io non ho mai fatto il commerciale...Forse ci sarebbe da interrogarsi anche su questo. In una zona vicina rispetto a noi c'è un altro quotiiano on-line, facciamo parte della stessa "famiglia", quindi stessa struttura del sito etc. Noi abbiamo una redazione fatta da giornalisti con qualche anno di esperienza alle spalle, ma nessun commerciale degno di questo nome e soffriamo la fame. Loro sono in 2, marito e moglie, la moglie lavora qulche ora al giornale perché ha anche un altro lavoro e la qualità - te lo assicuro - non è la stessa, il marito invece è sempre stato un venditore è molto bravo nel suo lavoro... E loro ci vivono discretamente bene. Purtroppo non sono i quotidiani di qualità quelli a generare profitti
Dico:
Deve essere anche questo un problema grosso. Percepisco un drastico, inutile ed eccessivo abbassamento del target a livelli al di sotto della media. Il che, allargato a tutto il circondario, delegittima il giornalismo come lavoro rendendolo un "hobby" per il quale bisogna anche ringraziare qualora si riceva un soldo.