lunedì 21 febbraio 2011

Dove può portare una canzone

Su www.wakeupnews.eu , oggi, ho scritto così.


La sessantunesima edizione del Festival di Sanremo, come già scritto su tutti i giornali e come già diffuso sulla bocca di tutta Italia, si è chiusa con la vittoria della canzone Chiamami ancora amore, scritta ed interpretata da Roberto Vecchioni. Stavolta, però, potrebbe essere di fondamentale auspicio non fermarsi soltanto ai festeggiamenti del momento e alle considerazioni da prima pagina di carta stampata del giorno dopo, per poi veder dissolversi nel dimenticatoio, come ogni anno, canzoni, interpreti e relative uscite discografiche. Proprio in ambito di uscite discografiche, se anche quella dell’ottimo Vecchioni risulta tra le meno utili raccolte con inediti (tipiche sanremesi) riordinate all’ultimo momento in assenza di una nuova opera completa, la canzone che le dà il titolo, però, non va affatto sottovalutata se ci si sofferma per qualche minuto a riflettere, col cuore in mano e forti della consapevolezza circa la situazione attuale e sempre più in fermento morale, circa i motivi che avrebbero potuto indurre il cantautore brianzolo a scrivere certi versi e ad interpretarli con qualcosa in più rispetto al suo consueto piglio da sereno e orgoglioso portatore di valori e sentimenti popolari altrimenti sciolti negli acidi torpori da pessimismo quotidiano. Proprio in questo Vecchioni ha colpito, ancora, perfettamente a segno. Non dimentichiamo che il “professore” viene da quarantacinque anni di calvario espressivo ridotto all’osso da logiche di mercato e critiche snobiste che lo hanno spesso relegato in secondo piano rispetto a falsi ed effimeri portavoce di quella che molti osano ancora chiamare “canzone italiana”.

Prendiamo un attimo il testo del brano di Vecchioni, allora, e sviluppiamone alcuni aspetti per capire chi e cosa davvero abbiamo di fronte.

E per la barca che è volata in cielo / che i bimbi stavano ancora a giocare / che gli avrei regalato il mare intero / pur di vedermeli arrivare. Emerge immediatamente la personalità dominante: l’altruismo, non importa così tanto se inteso in termini di dedizione interiore verso persone care andate o quanto altro, il fatto di voler “regalare il mare intero” è quantomeno un atto tanto materialmente impossibile quanto da veri e puri signori del senso di condivisione del sé più impercettibile, personale ed intimamente inteso come arma per una scossa morale, una spinta verso la ricrescita interiore. Emerge, allora, anche il tema portante del brano: la forza e la volontà ferrea di esserci, di esistere, di far brillare una luce propria nel buio dominante delle coscienze assopite.

Per il poeta che non può cantare / per l’operaio che non ha più il suo lavoro / per chi ha vent’anni e se ne sta a morire in un deserto come in un porcile. È incredibile con quale immediata capacità di assimilazione concettuale il poeta Vecchioni riesca a cogliere, con versi dalla forza dei “quattro angoli della Terra” descritti nell’Apocalisse di Giovanni (qui la possibilità di espressione, il lavoro, la gioventù e la guerra intesi come elementi che muovono l’attualità della vita comune), il senso di inadeguatezza globale passando per pochi esempi che, però, racchiudono un intero mondo e un’intera classe (la razza umana): non poter esprimere le proprie idee, non poter avere la possibilità fisica di sfamarsi e di sfamare, non poter godere della propria giovane età ed essere costretti a disseminare venti di odio e repressione equivale a morire.

E per tutti i ragazzi e le ragazze / che difendono un libro, un libro vero / così belli a gridare nelle piazze / perché stanno uccidendo il pensiero. Dal generale allo specifico, ma con lo stato d’animo costruito da versi precedenti così forti e diretti. Difendere “un libro vero”: la Bibbia? No: la Costituzione, difesa con unghie e denti nelle piazze italiane come quasi mai in precedenza. Peccato solo che per scatenare la scintilla si sia dovuti arrivare all’ennesima diffamazione internazionale (sappiamo bene ad opera di chi e per cosa). Vecchioni canta a piena voce il diritto di tutti al lume della ragione. E se lo dice un validissimo professore di greco e latino, materie fondamentali per lo sviluppo del pensiero stesso, ci si può credere ciecamente.

Per il bastardo che sta sempre al sole / per il vigliacco che nasconde il cuore / per la nostra memoria gettata al vento / da questi signori del dolore. Perché la comodità è il cancro sociale che divora le coscienze relegandole alla mera superficialità dell’accontentarsi di ciò che si ha, con la paura di perdere il gruzzolo materiale mettendo in gioco se stessi o con il terrore (giusto ma da combattere) di lottare per una causa valida ma soli e non protetti dal pensiero circostante comunque presente.

Chiamami ancora amore / chiamami sempre amore / che questa maledetta notte / dovrà pur finire / perché la riempiremo noi da qui / di musica e di parole / Chiamami ancora amore / chiamami sempre amore / in questo disperato sogno / tra il silenzio e il tuono / difendi questa umanità / anche restasse un solo uomo. Anche (anzi, soprattutto) nell’odio più indignato nei confronti dei “signori del dolore”, verso gli artefici del male comune, tanto fisico quanto morale, culturale e civile, è sempre possibile (se lo si vuole davvero!) estrarre la vera causa di ogni movimento motivato: l’amore per se stessi e il conseguente amore per il prossimo, ovvero quella continua marcia verso la luce, l’indiscutibile necessità di riemergere dalla “notte” della ragione, dall’oscurità dell’assenza di ideali e dalla mancanza di facoltà di pensiero individuale rivolto alla collettività sofferente dei propri stessi malanni, una collettività con una dignità, una storia e un senso civico da difendere a denti dtretti con costruzioni di pensiero logico (“silenzio”) e azione diretta a scopi di resurrezione sociale (“tuono”).

Perché le idee sono come farfalle / che non puoi togliergli le ali / perché le idee sono come le stelle / che non le spengono i temporali / perché le idee sono voci di madre / che credevano di avere perso / e sono come il sorriso di Dio / in questo schifo di universo. Non si può privare l’uomo di essenza evolutiva fondamentale come il pensiero, la ragione, la possibilità di acculturazione: sarebbe come chiedere ad una farfalla di volare dopo averle spezzato le ali, o come ordinare ad una stella (la libertà di far “brillare” la propria persona) di svanire senza tener conto delle leggi astrofisiche universali (le indelebili dinamiche evlutive dell’essere umano, dinamiche che nemmeno la più drastica lobotomizzazione mediatica può davvero influenzare).

Capirete bene, allora, quanto sia importante donare ad una successione di note una vita ed un vigore che altrimenti non avrebbero nel loro unico presentarsi su un pezzo di carta pentagrammata. Capirete bene come, in un’epoca in cui non è quasi più richiesto dire qualcosa, presi come si è nella morsa velenosa della metodica assuefazione da logiche di mercato, una canzone, una sola e semplice canzone, possa andare oltre la sua generica classificazione, riuscendo ad essere qualcosa di diverso, qualcosa di prezioso, qualcosa che, forse, avremmo mantenuto se non avessimo dimenticato.


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