Essere felici. Punto e basta.
Hai detto niente…
“Felicità” fa ormai parte di
tutta quella schiera in fila indiana capitanata da “Passione”, “Arte”,
“Sensibilità”, “Verità”, “Vita”, eccetera eccetera. Tutta quella fitta rete di
interconnessioni verbali troppo spesso stuprate a sangue per riempirsi la bocca
di sacri neologismi buoni solo a nascondere la propria incompetente
inconsistenza terrena. Facile è dire “no, tanto a me non importa: qualunque
cosa succeda io sarò forte, sarò superiore, attraverserò e scavalcherò me
stesso pur restando me stesso; presterò in eterno fede ai miei precetti
interiori, ai miei valori più profondi e inamovibili finché morte non mi
distacchi da quest’aria, questa terra, quest’acqua e questo fuoco”. D’accordo,
come darti torto. Però come la mettiamo se, di punto in bianco, un po’ alla
Kafka, ti ritrovi ad essere un mutante Gregor Samsa improvvisamente
impossibilitato a continuare a vivere la sua semplice e onesta vita per colpe
non sue e per cause che nemmeno una qualunque tipologia di fato saprebbe
adagiare ordinatamente in tavola?
Ordunque sappi che, al contrario,
c’è chi sogna di splendere di una luce visibile fin da altri pianeti,
accettando, se proprio così barbaramente necessario, anche di distaccarsi dalle
proprie stesse sembianze pur di urlarti in faccia “guarda che esisto anch’io!”.
Distaccarsi dalla sua naturalezza pur di entrare nel campo visivo delle tue
ossessioni antropologiche. Ti sembra poco? E Perché mai?
Proprio questa sera Riccardo Di
Gerlando (abilissimo scrittore e regista con il quale, assieme al fratello
gemello Marco e alla troupe della Sanremo Cinema, ho avuto il piacere di
lavorare per C’era una volta il cinema qualche
anno fa) mi ha contattato salutandomi e sottoponendo alla mia sempre
volenterosa attenzione (soprattutto nei suoi / loro confronti) la sua nuova
produzione, vale a dire il cortometraggio L’amore
incompreso. Premessa: io credo che il discorso vada anche molto oltre il
concetto di disabilità fisica e, di riflesso, approdi alla deriva culturale di
un paese fascista, ignorante e razzista come indiscutibilmente è (e qualcosa
che vedo qui attorno, in questa enorme città, mi lascia pensare che sempre
sarà) il nostro. Riccardo, per come lo conosco io (cioè soprattutto in termini
di reciproco scambio di idee, opinioni e sensazioni da narrare) è sicuramente una
persona estremamente sensibile che ha fatto del supporto umano un fulcro non
solo di fondamentale sostegno civile ma anche di importante traduzione
visivo-letteraria, assolutamente non di poco conto. È anche per questo che
vorrei che a certe persone venga data la possibilità decisiva. Ma non
divaghiamo, altrimenti rischiamo di perderci per davvero.
Il mondo è così totalmente e meravigliosamente
privo di senso che riuscire ad essere felici
non è fortuna: è arte.
Questa è la frase attribuita a
René Magritte con la quale principia un quarto d’ora di simile elevazione. E
non è nemmeno un caso se ce n’è davvero tanto, di Magritte, lungo tutto questo
percorso non privo di ostacoli e irte salite, non meno denso di scelte da
compiere, successioni di non-strutture umane da comprendere finché è possibile,
finché è concesso. Dal prestito di un Falso
specchio in cui una “Colombe” bianca,
in volo libero, sostituisce il sole nero di un’iride, al Mistero indefinibile che attanaglia le esistenze di chi davvero
vuole (e sa, malgrado i tempi avidi e infausti) tentare di offrire la propria
ragione in sposa al Terapeuta occhio
interiore che altro non vuole, anche in chi è convinto o non sa o non vuol
sapere di sapere, mostrare a se stesso ciò che in verità tangibile non è,
almeno non come in verità reale, essenziale, principale, primordiale, unica.
La poesia dei sensi è necessaria,
anzi fondante per una adeguata comprensione dell’insieme onirico e
trascendentale eppure mai così vicino alla realtà delle cose perché, in fin dei
conti, è realtà esso stesso. Se non accetti di spegnere le luci tanto della tua
camera quanto, specialmente, del tuo mondo interiore illuminato a festa anche
in tempi di carestia sensibile e morale, allora fatti un favore e metti
tranquillamente da parte questa pagina e quest’opera. Sarà meglio per te, vedrai
che non ti sentirai ferito nel tuo costante andirivieni di costruzioni
oggettive.
Ma è giusto costringere il
“diverso” ad immaginare un nuovo sé in funzione di un’accettazione personale
direzionata da dinamiche esterne ed esteriori non scritte, mai approvate né
tantomeno verificabili e punibili a norma di legge? Forse, anzi quasi per
certo, una buona fetta di felicità continuerà per sempre a derivare
dall’eternità inconsciamente e inammissibilmente automatica del confronto con
ciò che è “ammesso”, “concesso” e quindi verificabilmente passabile come
modello e principio estetico del comune vivere in pace.
Tocca a qualcuno di noi, prima o
poi (prima della definitiva estinzione anche cerebrale), aiutare altri come o
per noi a gettare via il bastone della vecchiaia spirituale nella partita a
scacchi contro noi stessi e riavvolgere il sudicio e anonimo velo che ricopre e
asfissia la Bellezza, quella vera, quella pura, quella tanto offesa al rumor di
semplici e (il più delle volte) inconsapevoli risate partorite e presto
abbandonate in una sala buia o affogate in una pizza e una birra tra quattro
mura affollate di riproducibili automi spioventi, unico reale motivo di
derisione per qualcosa che, in tutto e per tutto, non vende, non incassa, non
fa audience se non come spettacolo circense in prima serata, non ha i tempi
giusti, non risponde alle aspettative del consumatore.
Un solo concetto regna sovrano ma
urge estirpazione e salvifico reinnesto: la Bellezza, la Verità, la Felicità,
la Passione, l’Arte…fanno Paura.