mercoledì 24 luglio 2013

La Bellezza dietro un velo. De “L’amore incompreso” di Riccardo Di Gerlando



Essere felici. Punto e basta.
Hai detto niente…
“Felicità” fa ormai parte di tutta quella schiera in fila indiana capitanata da “Passione”, “Arte”, “Sensibilità”, “Verità”, “Vita”, eccetera eccetera. Tutta quella fitta rete di interconnessioni verbali troppo spesso stuprate a sangue per riempirsi la bocca di sacri neologismi buoni solo a nascondere la propria incompetente inconsistenza terrena. Facile è dire “no, tanto a me non importa: qualunque cosa succeda io sarò forte, sarò superiore, attraverserò e scavalcherò me stesso pur restando me stesso; presterò in eterno fede ai miei precetti interiori, ai miei valori più profondi e inamovibili finché morte non mi distacchi da quest’aria, questa terra, quest’acqua e questo fuoco”. D’accordo, come darti torto. Però come la mettiamo se, di punto in bianco, un po’ alla Kafka, ti ritrovi ad essere un mutante Gregor Samsa improvvisamente impossibilitato a continuare a vivere la sua semplice e onesta vita per colpe non sue e per cause che nemmeno una qualunque tipologia di fato saprebbe adagiare ordinatamente in tavola?
Ordunque sappi che, al contrario, c’è chi sogna di splendere di una luce visibile fin da altri pianeti, accettando, se proprio così barbaramente necessario, anche di distaccarsi dalle proprie stesse sembianze pur di urlarti in faccia “guarda che esisto anch’io!”. Distaccarsi dalla sua naturalezza pur di entrare nel campo visivo delle tue ossessioni antropologiche. Ti sembra poco? E Perché mai?
Proprio questa sera Riccardo Di Gerlando (abilissimo scrittore e regista con il quale, assieme al fratello gemello Marco e alla troupe della Sanremo Cinema, ho avuto il piacere di lavorare per C’era una volta il cinema qualche anno fa) mi ha contattato salutandomi e sottoponendo alla mia sempre volenterosa attenzione (soprattutto nei suoi / loro confronti) la sua nuova produzione, vale a dire il cortometraggio L’amore incompreso. Premessa: io credo che il discorso vada anche molto oltre il concetto di disabilità fisica e, di riflesso, approdi alla deriva culturale di un paese fascista, ignorante e razzista come indiscutibilmente è (e qualcosa che vedo qui attorno, in questa enorme città, mi lascia pensare che sempre sarà) il nostro. Riccardo, per come lo conosco io (cioè soprattutto in termini di reciproco scambio di idee, opinioni e sensazioni da narrare) è sicuramente una persona estremamente sensibile che ha fatto del supporto umano un fulcro non solo di fondamentale sostegno civile ma anche di importante traduzione visivo-letteraria, assolutamente non di poco conto. È anche per questo che vorrei che a certe persone venga data la possibilità decisiva. Ma non divaghiamo, altrimenti rischiamo di perderci per davvero.
Il mondo è così totalmente e meravigliosamente
privo di senso che riuscire ad essere felici
non è fortuna: è arte.
Questa è la frase attribuita a René Magritte con la quale principia un quarto d’ora di simile elevazione. E non è nemmeno un caso se ce n’è davvero tanto, di Magritte, lungo tutto questo percorso non privo di ostacoli e irte salite, non meno denso di scelte da compiere, successioni di non-strutture umane da comprendere finché è possibile, finché è concesso. Dal prestito di un Falso specchio in cui una “Colombe” bianca, in volo libero, sostituisce il sole nero di un’iride, al Mistero indefinibile che attanaglia le esistenze di chi davvero vuole (e sa, malgrado i tempi avidi e infausti) tentare di offrire la propria ragione in sposa al Terapeuta occhio interiore che altro non vuole, anche in chi è convinto o non sa o non vuol sapere di sapere, mostrare a se stesso ciò che in verità tangibile non è, almeno non come in verità reale, essenziale, principale, primordiale, unica.
La poesia dei sensi è necessaria, anzi fondante per una adeguata comprensione dell’insieme onirico e trascendentale eppure mai così vicino alla realtà delle cose perché, in fin dei conti, è realtà esso stesso. Se non accetti di spegnere le luci tanto della tua camera quanto, specialmente, del tuo mondo interiore illuminato a festa anche in tempi di carestia sensibile e morale, allora fatti un favore e metti tranquillamente da parte questa pagina e quest’opera. Sarà meglio per te, vedrai che non ti sentirai ferito nel tuo costante andirivieni di costruzioni oggettive.
Ma è giusto costringere il “diverso” ad immaginare un nuovo sé in funzione di un’accettazione personale direzionata da dinamiche esterne ed esteriori non scritte, mai approvate né tantomeno verificabili e punibili a norma di legge? Forse, anzi quasi per certo, una buona fetta di felicità continuerà per sempre a derivare dall’eternità inconsciamente e inammissibilmente automatica del confronto con ciò che è “ammesso”, “concesso” e quindi verificabilmente passabile come modello e principio estetico del comune vivere in pace.
Tocca a qualcuno di noi, prima o poi (prima della definitiva estinzione anche cerebrale), aiutare altri come o per noi a gettare via il bastone della vecchiaia spirituale nella partita a scacchi contro noi stessi e riavvolgere il sudicio e anonimo velo che ricopre e asfissia la Bellezza, quella vera, quella pura, quella tanto offesa al rumor di semplici e (il più delle volte) inconsapevoli risate partorite e presto abbandonate in una sala buia o affogate in una pizza e una birra tra quattro mura affollate di riproducibili automi spioventi, unico reale motivo di derisione per qualcosa che, in tutto e per tutto, non vende, non incassa, non fa audience se non come spettacolo circense in prima serata, non ha i tempi giusti, non risponde alle aspettative del consumatore.
Un solo concetto regna sovrano ma urge estirpazione e salvifico reinnesto: la Bellezza, la Verità, la Felicità, la Passione, l’Arte…fanno Paura. 

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