giovedì 11 settembre 2014

Gli U2 e Apple non hanno inventato proprio niente. Ecco perché

Fai vedere. Gira un po' sta faccia. Ah, ma anche tu sei costernato dalla incredibile scelta innovativa di Bono Vox e soci in associazione con iPhone, Apple, cazzi e mazzi, di far uscire il disco nuovo in digitale e sbatterlo per il mondo a costo zero! Orsù, ripigliati perché qua non c'è da scandalizzarsi o meravigliarsi proprio di un bel niente: centiniaia di migliaia di band lo fanno da anni su Soundcloud, Bandcamp e affiliati (tra cui pure io con gli Agate Rollings, vah). C'è di mezzo solo una oceanica dose di popolarità in più. Embè? La novità vera e propria dove sta?

Di certo ha ragione Michele Monina de Il Fatto Quotidiano quando reputa geniale una simile trovata (comunque di impatto storico), laddove il fattore "geniale" va inteso in rapporto a una quantità non indifferente di trogloditi che preferisce spendere (spesso per un disco che ha già e che vuole risentire immediatamente mentre si sta facendo fare un massaggio cinese completo con gran finale) dieci o più euro in mp3 da telefono cellulare dirrettamente connesso ai vari store digitali pur di non intasare la lussuosa casa (percaritadiddio!) di inutili oggetti circolari, grandi o piccoli che siano. 
Monina, giustamente, dice: "Nell’epoca in cui il prodotto vince sul marketing, loro hanno deciso di finire direttamente dentro il prodotto". Sta bene, è proprio così se intendiamo l'evento esclusivamente dal punto di vista del merchandising tecnologico. Ma...

...ma la Musica? Quella dove la mettiamo? Siamo sempre alle solite, insomma.

Monina ragiona saggiamente anche quando dice: "Da che quasi una quindicina d’anni fa, il classico ragazzetto in un garage americano ha pensato che i file musicali si potessero, in quanto file, condividere in rete, dando vita al file sharing, con Napster e con tutto quel che è seguito, la musica ha subito una rivoluzione che, a parere di chi scrive e non solo, ha precedenti solo nell’opera di Guido d’Arezzo e poi nell’attimo in cui qualcuno ha pensato che la musica poteva essere incisa e riprodotta meccanicamente. Da quel momento, infatti, il cambio di fruizione della musica, MP3 assurto a eroe di questa storia, ha sconvolto tutto. Non ho spazio a sufficienza per raccontarvi quel che è successo negli anni zero e in questa decade, ma voi ci siete e lo vedete coi vostri occhi. Oggi la musica si ascolta prevalentemente con gli smartphone, dopo un passaggio veloce dentro gli iPod (ricordiamo che dieci anni fa furono proprio gli U2 a pubblicizzarli) e simili, e se ne ascolta talmente tanta e confusamente da aver ridotto l’oggetto del contendere, la musica, poco più che uno sfondo insignificante, dettaglio minimo nel panorama d’insieme. Non è un caso che dopo decenni in cui si susseguivano rivoluzioni musicali, dal rock’n roll, al rock, al punk, all’hip-hop, al grunge, e sicuramente salto qualcosa, oggi si parli più di supporti che di contenuti".

"Il disco è morto", ci ripete sempre Cristiano Godano dei Marlene Kuntz ad ogni sacrosanta intervista. E come dargli torto? Sì, è esattamente così, ma sempre calcolando la questione in rapporto alla percentuale di imbecilli che si sparano le pose col macchinone e lo stereo col subwoofer alla cazzo di cane che ti ammazza i bassi rendendoli nient'altro che incomprensibili percussioni stomacali che solo il coglione di turno può sopportare, giammai comprendere, decifrare e trasformare in percezioni di note musicali. 

Gli U2, la Apple e qualunque altro gesucristo ci sia appresso, caro mio, non hanno fatto altro che seguire l'onda arrivandoci prima di qualcun altro (dirai "e hai detto niente" e va bene). Hai una vaga idea di quanto possano aver comunque preso da Apple o chicchessia per la diffusione gratuita del disco? Non ne parliamo che se no ci stramazziamo di crisi esistenziali.
Gli U2 sono solo riusciti a stipulare un accordo comunque redditizio per fare quello che molti meravigliosi siti internet fanno da tempo incalcolabile, guadagnando qualcosa illegalmente, forse, solo attraverso banner rompicoglioni e Google Adsense. Solo che quello è illegale e va condannato a morte per direttissima e senza processo anche se diffonde roba buona per il bene del sapere altrui (sul cinema, poi, c'è un altro paio di maniche molto divertente), mentre questo rientra nella norma perché frutta al signor ambasciatore della beneficenza di sto cazzo (che l'ultimo disco bello l'ha fatto nel 1997 e sono stato buono) un mucchio di soldi che, a confronto, Bill Gates pare un clochard, ma (percaritadiddio!) stimola i comuni mortali ad apprezzare musica differente e di qualità a costo zero (sai che risate se poi il disco è una cagata immonda? Naturalmente spero che almeno questo non lo sia, anche se già alcuni amici, puristi della band irlandese, mi avvisano dell'esatto opposto). 
Gli U2, amico caro, non hanno inventato proprio niente, hanno soltanto aggirato le reali colpe del settore. Quali colpe? Queste sulle quali riflettevo il 21 genaio 2011 attraverso le pagine di www.wakeupnews.eu: 

"Roma – Dati Ipsos derivanti da un’indagine svolta nella capitale, relativamente al download di materiale cinematografico, sentenziano un dato di fatto inequivocabile: nel corso dell’anno 2010, il 37% della popolazione italiana ha preferito usufruire di pirateria online, incentivando, di questo passo, la decrescente produzione e distribuzione di pellicole in sale cinematografiche in potenziale via di scomparsa per mancata disponibilità a sostenere i costi di manutenzione e rinnovamento. In aumento del 5% rispetto al 2009, il “file sharing” selvaggio ha portato la Federazione Anti-Pirateria Audiovisiva, in conferenza alla Casa del Cinema di Roma, a contare 384 milioni di atti mediaticamente spesso giudicati come vandalici (30 milioni in più rispetto ai precedenti rilevamenti). A subire i maggiori danni sono stati la vendita (150 milioni) e il noleggio (130 milioni). Le sale cinematografiche, in più, contano circa 100 milioni di negativo in bilancio. L’età media degli utenti in download varia tra i 15 e i 34 anni. I tre quarti di queste persone è, tra l’altro, perfettamente a conoscenza di aver compiuto quello che viene giudicato un reato (applicando la legge materiale ad un concetto immateriale di linguaggio binario; ci sarebbe anche qualcosa da dire su questo, volendo).
C’è da considerare, però, che non rimane affatto da escludere il versante musicale, dove, anzi, le cifre risulterebbero probabilmente astronomiche. Il dramma principale, per contro, rimane un altro (forse ancora più importante): nessuno si chiede mai il motivo delle preferenze di download rispetto alle decrescenti vendite legali, preferendo puntare il dito contro l’utente di turno facendogli anche il gesto delle manette. Ipotizzare qualcuno di questi motivi non è un reato nè una bestemmia.
In primo luogo, ovviamente, il risaputo ed inaccettabile prezzo standard (a volte incrementato per motivi futili di grafica o edizione limitata di poco conto) ai limiti del digeribile per un portafogli nazionale sempre più vuoto. In questo ambito, infatti, giudicando musica, cinema e, perché no, anche letteratura come un lusso e non come fonte dissetante di cultura, nessuno si è preso la briga di guidare l’attenzione degli utenti del web sui negozi online come Play o Amazon, dai quali (specialmente per quanto riguarda il primo dei due, e non è affatto pubblicità) è possibile ordinare i dischi di nuova uscita ad un prezzo da grossista completamente dimezzato (in genere sui 12 euro, contro i 20 in media di un cd fresco di stampa) e, talvolta, senza alcuna spesa di spedizione (in questo play è paladino, pur avendo come fulcro di distribuzione il Regno Unito: consegna entro una settimana). Lo stesso, ovviamente vale anche per i dvd, anche se un sonoro monito va rivolto anche alle sale cinematografiche che si fanno pagare 7 o 8 euro lo stesso film passato il pomeriggio a 5 solo perché si tratta della visione serale.
I motivi per cui comunque un’ampia fetta di popolazione appassionata predilige il download a caimano restano comunque legati a relative difficoltà di reperimento online per purissima pigrizia ed inettitudine tutta italiana (anche se basterebbe una Postepay ricaricabile e un paio di istruzioni elementari; ah, dimenticavamo: a volte sono in inglese, è un trauma). Ma non è da sottovalutare anche (o forse soprattutto) un continuo e consapevole movimento di boicottaggio delle multinazionali sia di distribuzione che, soprattutto, di vendita (i megastore, in aumento come funghi anche nei piccoli centri urbani). Un eventuale senso di colpa da parte di questi ultimi, evidentemente, esiste e si manifesta nella scelta (non è un’accusa, è una constatazione) di Feltrinelli, Fnac e Ricordi Media Store, ad esempio, di svalutare soprattutto cd e dvd portandoli a prezzi mai visti nè immaginabili prima: dischi di artisti di fondamentale importanza come John Mayall, Nick Drake, Rober Wyatt, Animals, Ramones, Roger Water, Caravan, Camel, Paul Weller, Marvin Gaye oltre a tanti altri, incluse intere ordinazioni di cataloghi jazz (Ornette Coleman, Herbie Hancock, Thelonious Monk, Bill Evans, Sonny Rollins, Michel Petrucciani, Coleman Hawkins, Lester Young) spesso e ben volentieri non superano i 5,90 euro a pezzo (in alcuni cofanetti onnicomprensivi è possibile pagarli anche meno).
L’impressione che, per i venditori, la responsabilità dell’aver aperto il campo al download selvaggio sia giustificabile con la scelta fondamentale (il taglio netto di alcuni prezzi) ma estremamente ritardata nel contrastare l’ondata di pirateria, ormai in così ampia diffusione da non poter essere arginata nella sua totalità, sembra non essere affatto infondata. Ad ogni modo, nessuno, ai vertici delle istituzioni, si è mai e poi mai preso la briga di considerare la potenziale utilità (fatta eccezione dell’onnipresente malafede umana) della rete come strumento di conoscenza: migliaia di appassionati di buona volontà, infatti, chissà per quale motivo riescono spesso ad effettuare comunque in anteprima il download delle nuove opere dei propri beniamini (chissà chi le carica sul web: sospetti bazzicano attorno alle stesse etichette soprattutto discografiche per una sorta di controboicottaggio da incastro; ma sono solo sospetti, è chiaro) scegliendo comunque, poi, di acquistare l’oggetto, anche nelle edizioni limitatissime (con oggetti, fanzine o materiali inediti vari) che le case di produzione si sentono in dovere di produrre, a prezzi quasi stellari, pur di vendere qualcosa. Si considerino, inoltre, le altrettante migliaia di utenti (sempre appassionati) che solo ed esclusivamente attraverso il download gratuito riescono a conoscere e ad apprezzare nuovi artisti (audio o video) che altrimenti non avrebbero avuto l’opportunità di testare non avendo a disposizione patrimoni monetari sufficienti per ascoltare o vedere tutto ciò da cui si viene attratti. Se si lasciassero passare almeno questi due ultimi e preponderanti punti, probabilmente si arriverebbe ad un buon accordo tra le parti. Ciò non potrà mai avere luogo laddove le major di produzione e distibuzione scelgono di continuare, imperterrite, a fingere un simile accordo imponendo i download a pagamento, pura forma di pirateria autorizzata: pagare per avere comunque un cd masterizzato. Il colmo. O no?"

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