[Di seguito, per
tentativo di ulteriore diffusione della cosa (qualora possa interessare nel
settore), riporto una mia ennesima esperienza di impatto negativo raccontata in
un mio articolo per il blog che mi è gentilmente concesso su Lettera43, “39
steps” (http://www.lettera43.it/blog/39-steps)
].
L’Italia, tra le
tante altre cose – tanto in male quanto anche in bene, va detto – è un paese di
sognatori. Questo non vuol dire che ci tiriamo i rasponi (sì, confesso: ne
faccio parte anch’io) dalla mattina alla sera fantasticando su questo o quel
progetto di cambiamento morale e culturale tanto atteso dalla nostra ipotetica generazione
senza troppi connotati. Assolutamente no. Al giorno d’oggi, siamo semplicemente
consapevoli del fatto che le possibilità offerte dai moderni mezzi di
comunicazione ci permettono di arrivare veramente ovunque con un nostro
scritto o, talvolta, con la nostra vera e propria faccia, vista l’ormai
immediata facilità con cui si possono produrre video di durata quasi
illimitata.
Ma è proprio questo
il punto. Dal momento in cui veramente chiunque si sente abilitato a
definirsi – in luce di tutto ciò, come conseguenza – “scrittore”, “regista”,
“giornalista” o, peggio ancora, “poeta”, si viene a creare un vero e
proprio marasma a mo’ di blob indistinto nel mezzo del quale risulta veramente
difficilissimo – se non, alle volte, impossibile per mancanza di tempo e forze
fisiche – fare distinzione tra chi fa uso di tutto questo perché,
fondamentalmente, ha il puro terrore di trovarsi un lavoro manuale, dal momento
che la produzione artistica non fa proprio al caso suo (si vedano, per
cominciare, certi errori grammaticali che nessuno di noi, da scolaretto,
avrebbe mai più commesso una volta prese sufficienti pedate nel deretano dal
rispettivo maestro di lingua italiana), e chi, per contro, possiede davvero il
dono della scrittura o, almeno, un minimo di capacità espressiva utile a
conferire il senso di interesse che una sua qualunque creazione può,
eventualmente, stimolare. Raul Montanari, nel suo Il tempo dell’innocenza (Dalai 2012), osservava anche che «l’Italia
è popolata da scrittori. Metà di
quelli che incontri si definiscono scrittori
o poeti. Persone che fanno mestieri
affascinanti come il fisico atomico o la maîtresse sadomaso si affannano a
qualificarsi come scrittori, forti
dell’aver pubblicato, nel lontano ’92, un’ode nell’antologia Rime del condominio».
In mezzo a tutto questo marasma, dunque, vengono a
collocarsi delle persone particolarmente furbe, organizzate e, soprattutto,
psicologicamente preparate a farsi gioco dei più inesperti – precisamente proprio di quelle persone
così perfettamente descritte da Montanari, gruppo di poveri innocenti che,
ahinoi, per la maggior parte non avrà mai completa consapevolezza di ciò che
gli accade – per trarre qualche spicciolo di provvigione personale. Ma si sa:
spicciolo + spicciolo + spicciolo + spicciolo = soldone.
È vero, anch’io – in
maniera alquanto immatura ma del tutto spontanea nel suo ardente desiderio di
comunicazione – da giovanissimo sono caduto nella trappola pubblicando il mio
primo libro (e solo il mio primo libro) a pagamento. Proprio per questo motivo,
però, so di essere perfettamente abilitato a considerare come merita (e
mettervi in guardia da essa) questa vera e propria tattica commerciale
odierna che, in sostanza non si basa altro se non sempre su quel fatidico –
e stramaledetto – principio non scritto: più c’è crisi (economica,
culturale, di idee in senso generale), più devi speculare sulle debolezze
delle persone per guadagnare (tanto in quei fantomatici “porta a porta” che
istigano all’omicidio preterintenzionale i meno “innocenti”, quanto nell’avere
a che fare con qualcosa di non completamente divergente in ambito – nel caso
che qui esprimo – letterario).
Divenuto decisamente
più maturo come persona, col tempo credevo di aver chiuso con un certo ramo
dell’editoria a pagamento (che editoria, in fin dei conti, non è) una volta troncato
aspramente i contatti con tutti gli editori da me contattati in precedenza e,
in seguito, manifestatisi come una sorta di agenzie di riscossione tributi per
tentativi di realizzazione professionale. E invece no, continuano ad arrivarmi
mail da presunte case editrici che, probabilmente, devo aver contattato ancora
prima senza aver mai ricevuto risposta – quindi dimenticandomene – o che, al
limite, avranno preso il mio indirizzo di posta elettronica da chissà quale
database ladro (sai quante aziende lucrano vendendo contatti da secoli a questa
parte? Vatti a rivedere Americani di
James Foley tanto per cominciare a farti un’idea).
L’ultima mail
ricevuta da qualcuno di quella stirpe, insomma, è freschissima di ricezione e
recita così:
Gentile Autore e caro lettore,
hai un libro nel
cassetto?
[nome dell’editore]
per tutto il mese di giugno ha deciso di pubblicare gratuitamente la tua opera.
Contattaci per avere
maggiori informazioni!
Il libro che potrai far leggere questa estate ad un tuo
amico, potrebbe essere il tuo!
[nome della tizia
che ha inviato la mail]
Però! Offerta
interessante! Credo di avere già una certa dose di preveggenza in merito ma
sono curioso di vedere se ho capito definitivamente come funziona questo mondo
nello specifico. Dunque, rispondo come se fossi interessato:
Salve.
Grazie per l'informazione. Potrei avere maggiori delucidazioni in merito?
Grazie.
Saluti
Grazie per l'informazione. Potrei avere maggiori delucidazioni in merito?
Grazie.
Saluti
Dopo non molto tempo, praticamente subito, l’interlocutore
risponde (con evidente mail preimpostata, come la precedente, alla quale bastava
cambiare semplicemente il nome del destinatario):
Gentile Stefano,
innanzi tutto [sì,
proprio così, staccato] grazie per averci
scritto.
Con la presente email [senza
trattino] ti illustro l'iter che vogliamo
seguire per la pubblicazione. [questo “tu” senza permesso è alquanto
irritante, proprio come gli “amichevoli” porta a porta]
In primis abbiamo
bisogno di leggere la tua opera e poter capire se possiamo inserirla nel nostro
catalogo.
Superato questo primo
step ti proponiamo una bozza di contratto che potremo insieme rivedere e
sistemare. [Giusto, credi nelle mie potenzialità senza nemmeno conoscermi,
senti di poterti fidare del mio talento alla cieca]
Non c'è bisogno di un
incontro necessariamente [per carità, dovessimo mai sapere che faccia
abbiamo], ma se vorrai potremo vederci
qui a Roma.[accomodante]
Stipulato il contratto
[fieri delle proprie certezze, insomma]
toccherà a noi lavorare sull'opera e insieme effettueremo dei giri di bozze.
Quello che chiediamo all'autore, una volta che il libro sarà pronto, è
un mero acquisto di 20 copie del libro. [BINGO!]
Abbiamo deciso di
effettuare questa campagna per il mese di giugno perché crediamo che ogni
scrittore deve avere la possibilità di dar voce al suo scritto.
Se vorrai farci
leggere la tua opera puoi inviarmela subito tramite email [sempre senza
trattino] e nell'arco di 2 giorni
cercheremo di leggerla e farti sapere se siamo interessati a pubblicarla [me
se mi hai già detto che mi proponi il contratto…].
Grazie,
[nome della tizia che ha mandato la mail iniziale]
In altre situazioni avrei lasciato perdere digrignando i
denti e tornando alla mia normalissima seppur estremamente travagliata vita
professionale. Qui, però, nella mail
iniziale viene detto che la fantomatica offerta prevede di pubblicare, nel mese
di giugno, “gratuitamente” l’opera di chi si volesse proporre. Nella comunicazione successiva, invece, l’autore
viene pregato – come se nulla fosse o, peggio, come se fosse normale! – di
acquistare 20 copie del suo libro. Certo, non sono le 100 o 200 previste da
altri finti editori (che, comunque, hanno imparato anche loro come usare questi
metodi in maniera, diciamo, più bonacciona), ma corrispondono ugualmente,
credo, a un paio di centinaia di euro considerando che il prezzo di un libro
nuovo, minore e proveniente da uno sconosciuto, si aggira sempre intorno a una
decina di euro.
Ecco perché queste realtà continuano ad esistere: ci sarà sempre e comunque qualcuno che,
credendosi talentuoso (magari essendolo
anche per davvero, chi lo sa) e avendo uno stipendio garantitogli da un
qualunque altro lavoro, non avrà alcun problema a sborsare una cifra comunque fattibile
– per lui – e necessaria al sostentamento (se moltiplicata per i tanti che, al
contrario del sottoscritto, accetteranno l’offerta) di due o tre persone – per il finto editore – dal momento
che, ormai, basta avere una partita iva, una sede fiscale (quindi niente uffici
né segreterie né personale da retribuire: il più delle volte si indica la
propria residenza), un account sui maggiori siti di distribuzione online e un
minimo contatto con una qualunque tipografia per definirsi “casa editrice”.
A mia umile memoria, però, l’articolo 20 del decreto
legislativo 206/2005 dell’ordinamento giuridico italiano definisce la dicitura “pubblicità ingannevole” «qualsiasi
pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad
indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che
essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare
il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a
ledere un concorrente».
È questo l’unico motivo per cui, stavolta, non riesco a
trattenermi e scelgo di sfogarmi anche con questi altri truffatori morali (e
non solo). Inizialmente – consapevole già di una loro successiva ulteriore
risposta – mi limito a dire:
Ah ecco, mi sembrava
strano. C'è sempre qualcosa che l'autore deve spendere. Sempre.
Salutiamoci qui,
grazie. Non andiamo oltre, conosco troppo bene queste dinamiche.
Saluti
Ma ovviamente, malgrado la mia richiesta di non andare
oltre, loro, come previsto, rispondono con le solite scuse e con la solita
misera e disperata nuova offerta:
Gentile Stefano,
mi dispiace leggere
l'amarezza della sua email. [il trattino proprio ti sta antipatico,
insomma]
Noi come casa editrice
stiamo investendo molto sui nostri autori, stiamo pagando personale
professionista e cerchiamo di produrre un buon libro sia come interno che come
estreno [errore di battitura; bravi revisori di bozze] (qualità dei materiali), le garantisco che tutto questo non è nè
facile nè [accento sbagliato due volte: sempre più bravi revisori di bozze] economico.
Purtroppo l'editore
non rientra di tutte le spese con le vendite, sarebbe bellissimo se fosse così,
ecco perché chiediamo una piccola collaborazione con l'autore.
Non voglio perdere la
possibilità di pubblicarla, perché non è questo il nostro intento. [ovvio!
Sono io il tuo guadagno!]
Le faccio una
proposta: se le copie da acquistare scendono a 15 e 2 glie ne regaliamo noi? Potrebbe
accettare?
Grazie,
[nome della tizia]
Al che credo proprio di avere via libera:
Assolutamente no,
neanche se dovessi pagarne solo una.
Non mi abbindolate con
le parole, sono esattamente le stesse che mi hanno detto in decine e decine di
finti editori nel corso di tutti questi anni e sono visibilmente stanco,
sfiancato e profondamente deluso e irritato da tutto ciò. La vostra esistenza,
come l'esistenza di ogni singola casa editrice a pagamento (che casa editrice
vera e propria non è se fa perno su questi principi), nelle sue varie forme tra
cui, ahinoi, duole dirlo ma c'è anche questa, si basa esclusivamente su questo
tipo di tattiche. Non ostinatevi a farmi credere il contrario perché, con me,
non funzionerà mai, seppur con tanti altri sì (ecco perché voi - e migliaia di
altri come voi - esistete ancora, praticamente quasi per circonvenzione di incapace,
anzi di innocente speranzoso inesperto).
E poi, dal momento che
comunicate solo in seconda istanza la presenza di una spesa da parte
dell'autore senza farne un minimo cenno nella vostra mail iniziale (nella
quale, tra l'altro, sottolineate il concetto di gratuità), ci sono tutti i
presupposti per considerarvi menzogneri attiratori fin dal principio, se non
proprio per denunciare qualcosa di simile a una truffa (lo so, il termine non è
delicato né, forse, appropriato, ma il suo significato ha delle affinità con
quanto da voi richiesto) qualora si avesse del tempo da spendere in curioso
divertimento (tempo - e soldi - che, ovviamente, io non ho).
Mi spiace ma è così.
Non c'è bisogno che
rispondiate a questa mail perché vi chiedo di togliere immediatamente ogni mio
contatto da ogni vostra lista.
E smettetela - voi e
tutti gli altri - di mangiare sulla cultura e sul talento altrui. Per pietà.
Saluti e a mai più.
Continua? Spero vivamente di no. Per nessuno. Nel frattempo,
voi prendete nota anche di questo ennesimo ingannevole passo verso il baratro
compiuto da chi specula sulla vostra preparazione e abilità culturale. Il vero editore (anche piccolissimo)
investe (anche pochi spiccioli) sugli autori che sceglie di pubblicare, non gli
chiede soldi camuffando la richiesta in acquisto copie. Punto.