giovedì 4 giugno 2015

Nuova frontiera dell’illusione letteraria: la pubblicità ingannevole



[Di seguito, per tentativo di ulteriore diffusione della cosa (qualora possa interessare nel settore), riporto una mia ennesima esperienza di impatto negativo raccontata in un mio articolo per il blog che mi è gentilmente concesso su Lettera43, “39 steps” (http://www.lettera43.it/blog/39-steps) ].

L’Italia, tra le tante altre cose – tanto in male quanto anche in bene, va detto – è un paese di sognatori. Questo non vuol dire che ci tiriamo i rasponi (sì, confesso: ne faccio parte anch’io) dalla mattina alla sera fantasticando su questo o quel progetto di cambiamento morale e culturale tanto atteso dalla nostra ipotetica generazione senza troppi connotati. Assolutamente no. Al giorno d’oggi, siamo semplicemente consapevoli del fatto che le possibilità offerte dai moderni mezzi di comunicazione ci permettono di arrivare veramente ovunque con un nostro scritto o, talvolta, con la nostra vera e propria faccia, vista l’ormai immediata facilità con cui si possono produrre video di durata quasi illimitata.
Ma è proprio questo il punto. Dal momento in cui veramente chiunque si sente abilitato a definirsi – in luce di tutto ciò, come conseguenza – “scrittore”, “regista”, “giornalista” o, peggio ancora, “poeta”, si viene a creare un vero e proprio marasma a mo’ di blob indistinto nel mezzo del quale risulta veramente difficilissimo – se non, alle volte, impossibile per mancanza di tempo e forze fisiche – fare distinzione tra chi fa uso di tutto questo perché, fondamentalmente, ha il puro terrore di trovarsi un lavoro manuale, dal momento che la produzione artistica non fa proprio al caso suo (si vedano, per cominciare, certi errori grammaticali che nessuno di noi, da scolaretto, avrebbe mai più commesso una volta prese sufficienti pedate nel deretano dal rispettivo maestro di lingua italiana), e chi, per contro, possiede davvero il dono della scrittura o, almeno, un minimo di capacità espressiva utile a conferire il senso di interesse che una sua qualunque creazione può, eventualmente, stimolare. Raul Montanari, nel suo Il tempo dell’innocenza (Dalai 2012), osservava anche che «l’Italia è popolata da scrittori. Metà di quelli che incontri si definiscono scrittori o poeti. Persone che fanno mestieri affascinanti come il fisico atomico o la maîtresse sadomaso si affannano a qualificarsi come scrittori, forti dell’aver pubblicato, nel lontano ’92, un’ode nell’antologia Rime del condominio».
In mezzo a tutto questo marasma, dunque, vengono a collocarsi delle persone particolarmente furbe, organizzate e, soprattutto, psicologicamente preparate a farsi gioco dei più inesperti – precisamente proprio di quelle persone così perfettamente descritte da Montanari, gruppo di poveri innocenti che, ahinoi, per la maggior parte non avrà mai completa consapevolezza di ciò che gli accade – per trarre qualche spicciolo di provvigione personale. Ma si sa: spicciolo + spicciolo + spicciolo + spicciolo = soldone.
È vero, anch’io – in maniera alquanto immatura ma del tutto spontanea nel suo ardente desiderio di comunicazione – da giovanissimo sono caduto nella trappola pubblicando il mio primo libro (e solo il mio primo libro) a pagamento. Proprio per questo motivo, però, so di essere perfettamente abilitato a considerare come merita (e mettervi in guardia da essa) questa vera e propria tattica commerciale odierna che, in sostanza non si basa altro se non sempre su quel fatidico – e stramaledetto – principio non scritto: più c’è crisi (economica, culturale, di idee in senso generale), più devi speculare sulle debolezze delle persone per guadagnare (tanto in quei fantomatici “porta a porta” che istigano all’omicidio preterintenzionale i meno “innocenti”, quanto nell’avere a che fare con qualcosa di non completamente divergente in ambito – nel caso che qui esprimo – letterario).
Divenuto decisamente più maturo come persona, col tempo credevo di aver chiuso con un certo ramo dell’editoria a pagamento (che editoria, in fin dei conti, non è) una volta troncato aspramente i contatti con tutti gli editori da me contattati in precedenza e, in seguito, manifestatisi come una sorta di agenzie di riscossione tributi per tentativi di realizzazione professionale. E invece no, continuano ad arrivarmi mail da presunte case editrici che, probabilmente, devo aver contattato ancora prima senza aver mai ricevuto risposta – quindi dimenticandomene – o che, al limite, avranno preso il mio indirizzo di posta elettronica da chissà quale database ladro (sai quante aziende lucrano vendendo contatti da secoli a questa parte? Vatti a rivedere Americani di James Foley tanto per cominciare a farti un’idea).
L’ultima mail ricevuta da qualcuno di quella stirpe, insomma, è freschissima di ricezione e recita così:

Gentile Autore e caro lettore,
hai un libro nel cassetto? 
[nome dell’editore] per tutto il mese di giugno ha deciso di pubblicare gratuitamente la tua opera.
Contattaci per avere maggiori informazioni!
Il libro che potrai far leggere questa estate ad un tuo amico, potrebbe essere il tuo!
[nome della tizia che ha inviato la mail]

Però! Offerta interessante! Credo di avere già una certa dose di preveggenza in merito ma sono curioso di vedere se ho capito definitivamente come funziona questo mondo nello specifico. Dunque, rispondo come se fossi interessato:

Salve.
Grazie per l'informazione. Potrei avere maggiori delucidazioni in merito?
Grazie.
Saluti

Dopo non molto tempo, praticamente subito, l’interlocutore risponde (con evidente mail preimpostata, come la precedente, alla quale bastava cambiare semplicemente il nome del destinatario):

Gentile Stefano,
innanzi tutto [sì, proprio così, staccato] grazie per averci scritto.
Con la presente email [senza trattino] ti illustro l'iter che vogliamo seguire per la pubblicazione. [questo “tu” senza permesso è alquanto irritante, proprio come gli “amichevoli” porta a porta]
In primis abbiamo bisogno di leggere la tua opera e poter capire se possiamo inserirla nel nostro catalogo.
Superato questo primo step ti proponiamo una bozza di contratto che potremo insieme rivedere e sistemare. [Giusto, credi nelle mie potenzialità senza nemmeno conoscermi, senti di poterti fidare del mio talento alla cieca]
Non c'è bisogno di un incontro necessariamente [per carità, dovessimo mai sapere che faccia abbiamo], ma se vorrai potremo vederci qui a Roma.[accomodante]
Stipulato il contratto [fieri delle proprie certezze, insomma] toccherà a noi lavorare sull'opera e insieme effettueremo dei giri di bozze.
Quello che chiediamo all'autore, una volta che il libro sarà pronto, è un mero acquisto di 20 copie del libro. [BINGO!]
Abbiamo deciso di effettuare questa campagna per il mese di giugno perché crediamo che ogni scrittore deve avere la possibilità di dar voce al suo scritto.
Se vorrai farci leggere la tua opera puoi inviarmela subito tramite email [sempre senza trattino] e nell'arco di 2 giorni cercheremo di leggerla e farti sapere se siamo interessati a pubblicarla [me se mi hai già detto che mi proponi il contratto…].
Grazie,
[nome della tizia che ha mandato la mail iniziale]

In altre situazioni avrei lasciato perdere digrignando i denti e tornando alla mia normalissima seppur estremamente travagliata vita professionale. Qui, però, nella mail iniziale viene detto che la fantomatica offerta prevede di pubblicare, nel mese di giugno, “gratuitamente” l’opera di chi si volesse proporre. Nella comunicazione successiva, invece, l’autore viene pregato – come se nulla fosse o, peggio, come se fosse normale! – di acquistare 20 copie del suo libro. Certo, non sono le 100 o 200 previste da altri finti editori (che, comunque, hanno imparato anche loro come usare questi metodi in maniera, diciamo, più bonacciona), ma corrispondono ugualmente, credo, a un paio di centinaia di euro considerando che il prezzo di un libro nuovo, minore e proveniente da uno sconosciuto, si aggira sempre intorno a una decina di euro.
Ecco perché queste realtà continuano ad esistere: ci sarà sempre e comunque qualcuno che, credendosi talentuoso (magari essendolo anche per davvero, chi lo sa) e avendo uno stipendio garantitogli da un qualunque altro lavoro, non avrà alcun problema a sborsare una cifra comunque fattibile – per lui – e necessaria al sostentamento (se moltiplicata per i tanti che, al contrario del sottoscritto, accetteranno l’offerta) di due o tre persone – per il finto editore – dal momento che, ormai, basta avere una partita iva, una sede fiscale (quindi niente uffici né segreterie né personale da retribuire: il più delle volte si indica la propria residenza), un account sui maggiori siti di distribuzione online e un minimo contatto con una qualunque tipografia per definirsi “casa editrice”.
A mia umile memoria, però, l’articolo 20 del decreto legislativo 206/2005 dell’ordinamento giuridico italiano definisce la dicitura “pubblicità ingannevole” «qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente».
È questo l’unico motivo per cui, stavolta, non riesco a trattenermi e scelgo di sfogarmi anche con questi altri truffatori morali (e non solo). Inizialmente – consapevole già di una loro successiva ulteriore risposta – mi limito a dire:

Ah ecco, mi sembrava strano. C'è sempre qualcosa che l'autore deve spendere. Sempre.
Salutiamoci qui, grazie. Non andiamo oltre, conosco troppo bene queste dinamiche.
Saluti

Ma ovviamente, malgrado la mia richiesta di non andare oltre, loro, come previsto, rispondono con le solite scuse e con la solita misera e disperata nuova offerta:

Gentile Stefano,
mi dispiace leggere l'amarezza della sua email. [il trattino proprio ti sta antipatico, insomma]
Noi come casa editrice stiamo investendo molto sui nostri autori, stiamo pagando personale professionista e cerchiamo di produrre un buon libro sia come interno che come estreno [errore di battitura; bravi revisori di bozze] (qualità dei materiali), le garantisco che tutto questo non è nè facile nè [accento sbagliato due volte: sempre più bravi revisori di bozze] economico.
Purtroppo l'editore non rientra di tutte le spese con le vendite, sarebbe bellissimo se fosse così, ecco perché chiediamo una piccola collaborazione con l'autore.
Non voglio perdere la possibilità di pubblicarla, perché non è questo il nostro intento. [ovvio! Sono io il tuo guadagno!]
Le faccio una proposta: se le copie da acquistare scendono a 15 e 2 glie ne regaliamo noi? Potrebbe accettare?
Grazie,
[nome della tizia]

Al che credo proprio di avere via libera:

Assolutamente no, neanche se dovessi pagarne solo una.
Non mi abbindolate con le parole, sono esattamente le stesse che mi hanno detto in decine e decine di finti editori nel corso di tutti questi anni e sono visibilmente stanco, sfiancato e profondamente deluso e irritato da tutto ciò. La vostra esistenza, come l'esistenza di ogni singola casa editrice a pagamento (che casa editrice vera e propria non è se fa perno su questi principi), nelle sue varie forme tra cui, ahinoi, duole dirlo ma c'è anche questa, si basa esclusivamente su questo tipo di tattiche. Non ostinatevi a farmi credere il contrario perché, con me, non funzionerà mai, seppur con tanti altri sì (ecco perché voi - e migliaia di altri come voi - esistete ancora, praticamente quasi per circonvenzione di incapace, anzi di innocente speranzoso inesperto).
E poi, dal momento che comunicate solo in seconda istanza la presenza di una spesa da parte dell'autore senza farne un minimo cenno nella vostra mail iniziale (nella quale, tra l'altro, sottolineate il concetto di gratuità), ci sono tutti i presupposti per considerarvi menzogneri attiratori fin dal principio, se non proprio per denunciare qualcosa di simile a una truffa (lo so, il termine non è delicato né, forse, appropriato, ma il suo significato ha delle affinità con quanto da voi richiesto) qualora si avesse del tempo da spendere in curioso divertimento (tempo - e soldi - che, ovviamente, io non ho).
Mi spiace ma è così.
Non c'è bisogno che rispondiate a questa mail perché vi chiedo di togliere immediatamente ogni mio contatto da ogni vostra lista.
E smettetela - voi e tutti gli altri - di mangiare sulla cultura e sul talento altrui. Per pietà.
Saluti e a mai più.

Continua? Spero vivamente di no. Per nessuno. Nel frattempo, voi prendete nota anche di questo ennesimo ingannevole passo verso il baratro compiuto da chi specula sulla vostra preparazione e abilità culturale. Il vero editore (anche piccolissimo) investe (anche pochi spiccioli) sugli autori che sceglie di pubblicare, non gli chiede soldi camuffando la richiesta in acquisto copie. Punto.

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