«Il progetto presentato dal Comune di Avellino per realizzare
il festival cinematografico “Laceno d’Oro” non è stato ammesso al finanziamento
da parte della Regione Campania, nell’ambito del programma operativo F.E.S.R.
2007/2013, obiettivo 1.9».
Esordisce così il comunicato ufficiale del Comune di
Avellino che, lo scorso 8 agosto 2013, comunicava la fresca
notizia a chiare lettere: «Nessun finanziamento regionale per il Laceno D’Oro».
Facciamo ordine.
La sera dello scorso 2 gennaio 2013, la sala proiezioni
dell’ex cinema Eliseo di Avellino si vide divorata dalle fiamme di un incendio,
risultato poi essere doloso anche se, nella sostanza, come (troppo) spesso
capita in alcune circostanze nazionali su scala generale, gli effettivi
colpevoli non sono mai stati veramente identificati e puniti a norma di legge.
Atti vandalici, bullismo giovanile, demenza collettiva o quanto altro non sono
e non saranno mai una giustificazione.
Ad ogni modo, la città di Avellino ne ha viste talmente
tante, soprattutto in questo ultimo sciagurato decennio, che reagire sembra
davvero essere una conseguenza di inerzia. Malgrado iniziali e incomprensibili
dimostrazioni di una certa inadeguatezza senile racchiusa in prime ordinanze
così tanto interessate a mantenere il decoro urbano per tramite del divieto di
portare con sé un innocuo pallone Super Santos lungo Corso Vittorio Emanuele
II, la giunta costruita dal nuovo sindaco Paolo Foti non ha evitato, stando a
quanto sembra, di occuparsi di ciò che, per contro, ai compari dell’ex primo
cittadino Giuseppe Galasso non era passato di mente nemmeno in sogno: recuperare
e quindi fare dell’ex cinema Eliseo quello che è sempre stato, ovvero la Casa
del Cinema Camillo Marino (epocale e inamovibile figura culturale di un’intera
provincia), nonché sede del Laceno d’Oro, storico ed importantissimo festival
cinematografico di impronta neorealista che, a partire dal 1959, ha sempre ospitato e
attirato l’attenzione di tutto il meridione su personalità di centrale rilievo
per quanto riguarda la storia del cinema italiano (Michelangelo Antonioni, Carlo
Lizzani, Mario Monicelli, Pier Paolo Pasolini che ne era anche cofondatore
assieme a Cesare Zavattini…dobbiamo continuare?!).
Non è così difficile nemmeno per un bambino di due anni
comprendere a fondo la magnificenza di una simile potenzialità per una città
tutto sommato provinciale che tanto provinciale, a questo punto, si direbbe non
sia mai stata e non è se il taglio culturale o anche solo cognitivo, in tal
senso, equivale a simili e redivivi risultati. La sostanza dell’influenza della
manifestazione, infatti, non ha mai smesso di germogliare soprattutto quando la
città di Avellino ha ospitato e premiato alla carriera, nell’arco dell’ultimo
decennio, eminenze come Ettore Scola (originario, tra l’altro, di Trevico, un
paesino irpino), Gillo Pontecorvo o, addirittura, il regista inglese Ken Loach
(sì, proprio quello di Terra e libertà,
La canzone di Carla, In questo mondo libero, eccetera,
eccetera) o i fratelli Dardenne ancora prima della notorietà internazionale, Marco
Bellocchio e i fratelli Taviani. La ferrea volontà per quanto concerne il
recupero delle premiazioni e della possibilità di tornare, finalmente, a
svolgere questa fondamentale kermesse, aveva puntato il suo sguardo sul
desiderio di portare in terra irpina, di qui a qualche mese, un certo Gus Van
Sant. Per chi non lo sapesse, Van Sant è il regista di capolavori assoluti (e
premiati con Oscar e Palme d’Oro) sia mainstream come, su tutti, Will Hunting – Genio ribelle, sia di
taglio strepitosamente sperimentale e linguisticamente innovatore come Gerry, Elephant, Last days e Paranoid park.
E invece no: la cosa, evidentemente, non meritava abbastanza
considerazione tanto da non raggiungere nemmeno l’ultimo posto ammissibile
nella graduatoria dei finanziamenti regionali (30,46 punti contro il minimo di 31,41;
il massimo è 50), subito dietro all’interesse della città di Amalfi
nell’ottenere sostegni economici per non si capisce bene quale premio a non si
sa meglio quale personalità di grande rilievo.
Le capacità, la voglia, l’esigenza, anzi la vera e propria urgenza
(!) di svegliare definitivamente intere generazioni da un sonno (non soltanto)
irpino ai limiti del definitivo suicidio, pone più che adeguatamente quelle
carte in tavola che ci sono eccome, ci sono sempre state a testimonianza che
l’essenza culturalmente e spiritualmente mortuaria dell’intera Avellino (in
casi del genere) non è mai dipesa unicamente da una buona parte delle persone
(specialmente appartenenti alle nuove generazioni) che la abitano: basta
osservare da vicino il gran lavoro che l’assessore alla cultura Nunzio
Cignarella, con il coadiuvante di Sergio Genovese e delle forze giovanili
capitanate dall’ottima Anna Coluccino e dall’associazione EleMenti per capire
con cosa si ha veramente a che fare. Tutta energia vilipesa, denigrata, mandata
al macero così, senza reale ed effettiva considerazione di sorta che abbia un
minimo di umano.
Ma il problema, quasi certamente, sta in una (non)concezione
nazionale del fattore artistico relegato a vomitevole hobby, mero passatempo
per chi vuole coltivare una pur stupida e scanzonata passione al triste rientro
dal suo lavoro di centralinista o magazziniere più che precario. Tutto quello
che abbiamo sin qui elencato (che è solo una decima parte dell’intera
consistenza) probabilmente non basta a convincere i signori della corte. Si è
colpevoli di eccesso di chissà quale presunto zelo narcisista, non innocenti di
obbligo verso manutenzioni culturali.
Dispiace davvero, a questo punto, non essere riusciti a
maturare l’intenzione di affibbiare una targa a, mettiamo, nostro signore Gesù
Cristo, San Pietro, Mosè, Giobbe o una qualunque altra paradisiaca figura di
una certa rilevanza mondiale. O magari una bella medaglia di carta igienica (che
sia soffice a norma di legge) a una Emma Marrone, Alessandra Amoroso o un Marco
Mengoni pescato così, a caso, nel paese delle
meraviglie in cui un film di Vanzina o con Brignano protagonista ottiene
il riconoscimento di Interesse Culturale Nazionale con apposito finanziamento
pubblico o premi d’incasso.
Sono problematiche, queste, su cui si discute da anni e anni
su scala nazionale e lo sappiamo fin troppo bene. Dispiace, però, anzi delude
molto più che amaramente constatare che, mai come in casi del genere, un certo
decentramento amministrativo-politico-anticulturale provoca la devastazione di
un motore Ferrari installato su di una Cinquecento. Il Comune di Avellino lo fa
sapere subito: «L’amministrazione comunale ha creduto e crede fortemente nel
progetto presentato e non mancherà di compiere passi formali per chiedere ragione
dell’esclusione».
Se ne è ben consapevoli, insomma. E si spera in qualcosa (chissà cosa,
poi) ma, intanto, si è stati costretti a perdere altro preziosissimo tempo. Ancora
una volta. Prassi tutta rivolta a lacerare il tricolore: se ci togli il rosso,
in effetti, non cambia poi così tanto. (da www.wakeupnews.eu)
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