Quanto segue è il
risultato di quello che per anni e anni ho pensato in maniera frammentaria,
magari sciocca, spesso in disaccordo col mio modo di vedere le cose ma libera
anche di ricevere derisioni, pur benevole accuse di piagnisteo o (ben vengano
sempre e comunque) duri giudizi toccanti anche (forse) un po’ per la persona.
Quanto segue è la mia parafrasi di questo scritto:
segnalato da una
persona (non l’autore perché non lo conosco personalmente) che ritengo e
riterrò sempre un luminare della contemporaneità nonché esempio da seguire a
prescindere, anche se da me, unicamente in questo caso, apertamente criticato,
spero e credo in maniera abbastanza costruttiva, nel corso di una buona e,
ritengo, necessaria discussione telematica avuta quest’oggi. Certo, forse non
mi sono approcciato subito con fare molto scanzonato e me ne rendo conto.
Desideravo, però, invece di essere giudicato subito un piagnone, di trovare
dall’altra parte una risposta più o meno definitiva al mio pensiero e desiderio
professional-vitale. Ben venga anche questo, naturalmente, purché ci sia
dibattito. Lasciatemi, però, dire la mia anche in questo mio umile (e, a volte,
penso inutile) spazio.
Se hai vent’anni, ma anche ventotto o ventinove, vediamo se
hai, invece, le palle di restare in Italia. Certo, i tuoi amici, alcuni
conoscenti o anche le persone che ritieni essere un esempio da seguire per
vivere intellettualmente e spiritualmente secondo la linea che ritieni giusta,
se non proprio indispensabile, ti diranno che stai farneticando, che se non
pensi anche tu che fuggire via da questo paese, come fecero in principio i
nostri avi circa un secolo fa (sempre a tirare in mezzo questo paragone magari
giusto ma assurdo in prospettiva storicamente e antropologicamente
contemporanea), sei solo un ipocrita o non fai altro che lamentarti di una
situazione alla quale tu e soltanto tu non hai saputo porre rimedio muovendo il
culo e sloggiando magari anche due o tre volte fino al punto da trovare quella
tanto sospirata stabilità.
Se vuoi andare vattene, non ti trattiene proprio nessuno. Men
che meno io che non ti conosco e che per te di certo non conto un cazzo. Anzi, sono
felice se dimostri di avere un coraggio come questo, vale a dire più che enorme
nel suo tentativo assolutamente disperato di ottenere il meglio, ripartendo più
o meno da zero o da quel “tre” troisiano che tanto hai faticato a costruire, da
te stesso e fuggendo da tutto ciò che il meglio dovrebbe impegnarsi almeno a
provare a garantirtelo. Ma se il mondo cambia e la tua / nostra realtà se ne
sbatte le viscere di mostrare segni di adeguamento ai tempi, non sei tu ad
essere rimasto indietro, bensì qualcuno ti ci ha lasciato molto tempo prima,
vale a dire pressappoco fin dal giorno della tua nascita. Sotto il nulla tu,
io, lui, loro, tutti noi semi trentenni del 2013 ci siamo nati. Al massimo, se
ti va, chiedi scusa per essere venuto al mondo proprio mentre iniziava il
dibattito pubblico su Berlusconi, Nesta / Balotelli, giudici comunisti, puttane
e compagnia bella qui o in televisione. La tua colpa più grande, forse, è il
provenire da generazioni che questo nulla non lo hanno visto quando avrebbero
dovuto o potuto arginarlo per estinguerlo, preferendo le discussioni
inconcludenti all’oggettività del porre rimedio qui, oggi e subito. E oggi
parlano ancora, ti dicono “vattene” senza condizioni e non accettano repliche
perché così è e basta, stop, mentre tu stai mandando, bestemmiando tra i denti,
l’ennesima mail o stai facendo la tua ennesima telefonata ormai abituato alle
solite non-risposte. Hai già spento da un pezzo la tv perché non sei così
coglione, a dirla proprio tutta, e non c’è bisogno che qualcuno te lo venga a
ricordare. Proprio no. Se chiudere anche le dispense sia cosa buona e giusta scegli
tu, a tua discrezione: tenerle aperte per “loro” o per te, solo per te,
unicamente per te?
Ti direi anche io di andartene se per vent’anni hai vissuto
con le stesse metro, gli stessi palazzi, gli stessi treni, gli stessi aerei.
Andando via ti accorgerai senza ombra di dubbio come sono cambiate Londra,
Parigi, New York in questi due decenni. Ma chi è che può veramente confermare
che poi, metti caso, non ti venga la voglia di diventarne capace con tutte le
forze e fare il tuo progetto di città innovativa futura? Naturalmente i “bla
bla bla” si sprecheranno nella consapevole impossibilità di attuare senza
malavita organizzata e mazzette quello che dal cervello hai steso su tanta
carta. Ma chi lo sa per davvero e in via effettivamente più che definitiva?
Esiste davvero la sfera di cristallo, secondo te? Vedi un po’ tu. A tua
discrezione, anche qui.
Se fossi partito avresti visto i concetti di cultura,
spirito e progresso sia interiore che esteriore diventare realtà più che
tangibili, senza alcun dubbio. Ma se a chi ti dice con il cuore in mano “fai
una cosa: vattene” tu rispondessi “no, col cazzo, io resto”, secondo il mio
modesto e magari inutile parere dimostreresti di avere palle tanto grosse
quanto quelle di chi va via e ricomincia tutto dal nuovo principio per
l’ennesima volta. Se non di più. Il discorso non è affatto “chi resta resiste
davvero”. No. Per niente. Il discorso è: chi resta ha scelto di lottare per la
propria vita e la propria dignità in modo differente. E le palle? Dove sono le
palle? Giusto: le palle sono nell’accettare anche la possibilità di riuscire a
realizzare una parte dei tuoi obiettivi facendolo, però, con la lucida
consapevolezza, fin dall’inizio e per sempre, che per quello che tu stai più o
meno riuscendo a fare qui, altrove, per la stessa cosa, pagano oro. Tu però,
magari, sei stanco di ricominciare ancora o non vuoi o non sei capace o non
credi sia comunque giusto fare quello che dovresti avere la possibilità di fare
qui in un altro posto, in un’altra lingua, in altri ambienti con altre persone,
in altri contesti con altre prerogative e prospettive. Tu sei nato qui, in
tempi bastardi ma sei nato qui e, forse, non è poi così da piagnoni pretendere
di avere, un giorno, per quanto lontano possa essere, un minimo di quello che
ti spetta lì, a casa tua o nei paraggi, ovunque tu sia nella tua nazione.
Viaggiare ed entrare a stretto contatto con le altre realtà, più sviluppate o
anche (molto meglio) meno sviluppate economicamente ma estremamente più sagge
nell’anima, nello spirito, ti sarà ben più che indispensabile. Però nessuno,
dico nessuno, nemmeno Gesù Cristo, Dio, la Madonna, San Pietro, Buddha,
Maometto, Allah, Geova o chi per loro potrà mai allontanarti e dirti che stai
sbagliando e basta, che non hai fatto altro che perdere tempo e iniziare male
la tua vita a questo punto inutile.
Dimentica Genova, sì. Ma leggi, assorbi, vivi e commemora
con interminabile devozione la persona e l’operato di Pier Paolo Pasolini,
Peppino Impastato e Giancarlo Siani. Loro non sono scappati. Loro sono rimasti
qui nella speranza concreta di cambiare almeno una piccola parte delle cose. Le
cose sono cambiate, sì, ma in peggio, sempre peggio. E loro sono morti, certo.
Uccisi tutti e tre. E allora abbi le palle di farti uccidere anche tu, pur
soltanto dalla fame e dalla vita nei paraggi di un ponte ai bordi di un fiume
lercio e puzzolente che spacca in due una città ormai assurda, morta, sepolta e
putrefatta. Abbi le palle di dire, se è così: io so fare queste cose e queste cose
farò fino a quando i miei unici amici non saranno unicamente i vermi dell’oltretomba,
fino a quando non mi sarà dato quello che mi spetta, né più né meno. Virgola
cazzo punto esclamativo, se preferisci. Non pretendere ricchezza se pensi di
essere una persona onesta: non l’avrai. Pretendi la dignità di esigere il
diritto di mantenere tutti i giorni un pasto decente sotto un tetto decente con
la compagnia che più ami al mondo. Questo non potrà mai togliertelo nessuno.
Questo mai potrà essere chiamato “catena”. Chi lo fa è lui l’ipocrita. Perché
non sa niente di te. E parla ancora, ancora e ancora.
Sai bene che una laurea, ormai, non ti forma. Ma sappi anche
che quello che ti viene imposto di studiare per un pezzo di carta inutile non è
detto che non possa farti da trampolino di lancio tanto pratico quanto anche
intellettuale per nuovi orizzonti che tu e soltanto tu saprai e potrai aprirti
con la sola forza della tua ragione e delle tue ragioni.
Del senso di comunità non ne hanno un bisogno vitale tutti
gli esseri viventi di questo pianeta. È importante, senza ombra di dubbio, ma
sai bene che c’è anche chi sa pensare alla propria persona e, assieme ai propri
simili di qualunque parte del mondo, di qualunque religione, razza, etnia,
condizione sociale e compagnia bella, attivare se stesso per il bene suo e di
chi gli sta vicino.
Ascolta tutte le canzoni che vuoi, leggi tutti i libri che
pensi possano parlarti davvero e fermati ad osservare tutti i film che desideri
purché possano comunicarti una morale profonda detenendo, in essi, magari anche
un probabile spiraglio di soluzione interiore. Perché è da dentro che parte
ogni ipotesi di azione, quella che in tanti si riempiono la bocca a forza di
chiamare “rivoluzione”. Se non hai niente dentro, non sei niente. E se i tuoi vorranno organizzarti una festa anche se
hai preso uno schifo di triennale dopo dieci interminabili anni di affitti,
rate accademiche, cibo pessimo, pochi amici veri e notti insonni bagnate dalle
lacrime (ben diverse dal pianto) del tuo “starò facendo la cosa giusta?”, vorrà
dire che ti amano davvero e davvero credono in te, convinti che, nonostante
tutto, te lo meriti perché, anche se non sei un genio che tutto e ovunque può,
non sei una cattiva persona e puoi e vuoi dare tanto a chiunque avesse voglia
di ricevere qualcosa da te o da chi come te.
Questo, chi sa soltanto dirti “vattene” perché così è e
basta, non può saperlo, non può forse nemmeno capirlo. Perché pontifica
dall’alto dello schermo di un computer e, pur non esternandolo, si innalza a
salvatore della altrui pelle.
Io non saprò mai salvare la pelle né tua, né mia, né di
nessuno al mondo. Io non ti dico “resta”. Ti chiedo soltanto: “avresti le palle
di restare?”. Le spalle di un adulto si costruiscono, credo, anche sotto
l’ombra oscura di questo pensiero scomodo e fastidioso ma solenne, un pensiero
che tu e soltanto tu potresti essere capace di affrontare e trasformare in
soluzione, una qualunque soluzione. Per diventare l’uomo che sarai, se ci
riuscirai.
Te lo chiedo un’ultima volta. Io, tu, noi tutti: avremmo le
palle di restare? Te lo chiedo dopo anni bui, notti insonni, lacrime (non di
pianto) versate su cuscini sempre diversi e domande senza risposta a qualunque
macchia di umidità sul soffitto.
Avresti le palle di restare?